Eredità Etrusche nella cucina dell’Antica Roma
In questi anni nel Calendario abbiamo analizzato vari aspetti della cucina dell’Antica Roma, ponendola a volte in parallelo on quella dell’Antica Grecia, ma in verità le radici della gastronomia romana affondano in una cultura molto più vicina, finora qui mai indagata: quella degli Etruschi!
Antica popolazione diffusa nell’Italia del Centro-Nord, in parte assorbita ed in parte sterminata dai Romani durante la loro espansione, gli Etruschi non erano grandi coltivatori, tranne che per la vite, ma i grandi successi come allevatori, cacciatori, pescatori, casari, norcini e raccoglitori permetteva alla loro mensa di essere ricca e varia. Ne abbiamo notizia, oltre che direttamente dai reperti archeologici, dai molti racconti fatti in epoca successiva dei loro banchetti, a loro dire sempre molto ricchi di vivande e sontuosi nello svolgimento.
Secondo lo storico siceliota Diodoro Siculo (I sec. a.C.) gli Etruschi abitavano infatti una regione che produceva di tutto ed erano dediti ad una vita di soli piaceri, mentre il filosofo greco Posidonio (I sec a.C) così ne parla: “preparano due volte al giorno tavole sontuose e tutte le altre cose appropriate a un lusso eccessivo, allestendo banchetti con biancheria e ricami colorati, coppe d’argento di vario tipo, ed hanno pronto e a disposizione un numero non piccolo di domestici per servirli, alcuni di questi ultimi di straordinaria avvenenza, mentre altri sono adorni di vesti più sontuose di quanto spetterebbe alla loro condizione di servi”.
Si è così diffuso lo stereotipo allora popolare dell’”Etrusco obeso” anche presso autori di epoca romana come Catullo (I sec d.C, in Nugae, Carme XXXIX, cita l’obesus etruscus) o Virgilio (I sec a.C., il pinguis Tyrrhenus della seconda Georgica), alimentato da alcuni sarcofagi etruschi con figure evidentemente in sovrappeso, che oggi sono ritenute crede spesso più un omaggio alla potenza del sepolto o un augurio per la sua vita ultraterrena che un suo ritratto realistico.
La letteratura ovviamente ci parla dei banchetti degli Etruschi ricchi, che si cibavano di maiali, ovini, pollame, cacciagione da pelo e pesci, oltre che salumi, verdure fresche, frutta, dolciumi, cereali e legumi, condendo il tutto con olio d’oliva, sale, erbe, spezie e vino. I pasti quotidiani del popolino erano invece prevalentemente a base di cereali, consumati in polentine o pani, e legumi sotto forma di stufati e zuppe, aromatizzati prevalentemente con aglio, cipolla e porri, ed erbe spontanee come alloro, timo, salvia e rosmarino. Era talmente diffuso il puls, la polentina di cereali, che i Greci chiamavano gli Etruschi pultiphagi, “mangiapolenta”.
Sulle tavole di tutti erano poi sempre presenti uova e formaggi, e per i poveri anche cacciagione di piuma, che richiedeva strumenti e metodologie di caccia meno costose che quelli per cervo, capriolo o cinghiale, mentre era allora una vera prelibatezza la carne dei ghiri, comunemente tenuti all’ingrasso dentro orci forati. Poco utilizzata invece la carne di manzo, ritenuto più un animale da lavoro che da macello, ma ampiamente sfruttato il suo latte, tanto che esisteva una tazzina a due manici apposita per il suo consumo, il kyphos.
Due i tipi di ritrovo conviviale etrusco: il banchetto, durante cui si mangiava e beveva, e il simposio, che solitamente seguiva il banchetto, quando si beveva allegramente, assistendo a canti e spettacoli. E si beveva prevalentemente vino, di cui gli Etruschi erano grandi produttori ed esportatori, bevanda intensa e densa, che di solito si serviva allungata con acqua e miele. Ad entrambi potevano partecipare le donne, cui era permesso bere vino. Due importanti lezioni di civiltà che i Romani si sono persi per strada…
Detto ciò, se guardiamo dal punto di vista storico le ricette presentate negli articoli per questa Giornata
qui nel Calendario in effetti questa eredità etrusca appare assolutamente evidente: mentre le ricette per il fegato al vino e miele, quelle per pollo e per le sardine, quelle per pesce fritto e maiale al vino o quelle per salsicce e piselli sono molto probabilmente derivate da preparazioni dei banchetti etruschi più ricchi, quelle per il formaggio, per le uova al miele o per le focaccine sono preparazioni schiette, molto diffuse già tra gli Etruschi a tutti i livelli sociali.
Allora il gioco di oggi è quello di cercare, tra i piatti che impariamo da fonti romane, una ricetta che ci riveli un gusto ereditato dal palato etrusco. Lo facciamo citando Orazio, che nel paragonare i piaceri della propria vita semplice con i lussi e gli oneri dell’affannata vita di un senatore conclude dicendo che lui se ne torna volentieri a casa dove lo attende un piatto di porri e ceci con lagane: inde domum me ad porri et ciceris refero laganique catinum (Satire, 1, 6, 114). E da quel catinum partiamo!
Come cuocere i porri ce lo insegna Apicio nel Libro 3, Capo X (nella mia traduzione d’epoca di Baseggio è a pag. 62)
In sostanza: cuocere i porri con sale, acqua e olio, poi servirli poi con olio, liquamen (sale concentrato semiliquido, che si usava al posto del garum quando il suo aroma di pesce non legava con il piatto) e vino puro (quindi sfruttandone il sapore intenso, non diluito).
Per il liquamen uso shio-koji, un insaporitore liquido giapponese che unisce sale e lieviti koji (quelli che si usano per la fermentazione di aceto, sake, salsa di soia, e un’infinità di salutari prodotti nipponici), probabilmente più simile alle salagioni etrusche, la cui cucina non usava il garum. Per il mero (vino puro) uso aceto balsamico: denso, ricco di aroma e un poco acidulo.
Per cuocere i ceci invece nessun problema, visto che il sistema è lo stesso dai tempi degli Etruschi e poi dei Romani: ammollo dei ceci secchi, poi lunga cottura in abbondante acqua fresca con foglie di alloro, niente sale fino alla fine.
Sarebbe ora ampio il discorso sulle lagane, dette anche tractae, antenate delle attuali lasagne: nel vocabolario romano erano un impasto di farina e acqua che poteva essere cotto sul fuoco/nel forno, sola o a strati con altri ingredienti, per una sfoglia croccante o una torta salata (ne parlano in questi termini anche Cicerone e Plinio il Vecchio), fritto (lo racconta Ateneo da Nucatri, Egizio romano che scrive in greco nel II sec d.c) oppure veniva lessato, adatto quindi anche a chi aveva problemi di masticazione e necessitava consistenze morbide, come citato da Aulo Corneio Celso nel De Medicina del I secolo d.C.
A quale delle tre si riferiva Ovidio? Chi può dirlo… Comunque mi sembra moto appetitoso un piatto che sia morbido di ceci, sugoso di porri e croccante di sfogliatine, e scelgo la versione tostata, che di certo era la più familiare anche agli Etruschi. Uso farina di farro, la più diffusa per loro insieme alla spelta e molto usata anche dai Romani. Non aggiungo pepe, anche se ci starebbe bene, perché a Roma è arrivato solo nel II secolo d.C e di certo gli Etruschi non lo conoscevano. E completo con una grattata di pecorino… che non si dica che dagli Etruschi non abbiamo imparato nulla!
PORRI CECI E LAGANE ALLA ROMANA…
MA FORSE ANCHE ALL’ETRUSCA!
per 4 persone
100 g di farina di farro (più una manciatina per la spianatoia)
200 g di ceci secchi
6 porri sottili
1 foglia di alloro
2 cucchiai di aceto balsamico
1 cucchiaino di shio-koji (o colatura di alici)
4 cucchiai di pecorino grattugiato
1 cucchiaino di erbe tritate (qui timo e rosmarino)
3 o 4 cucchiai di olio extravergine
sale
Lasciate a bagno i ceci per almeno 12 ore, scolateli e sciacquateli, poi lessateli in acqua fresca con una bella foglia di alloro, abbassando la fiamma al bollore e cuocendo a fuoco basso semicoperto per un paio d’ore, fino a che sono morbidi, salando leggermente verso fine cottura.
Impastate la farina di farro con 120 g di acqua calda dei ceci e un pizzico di sale, lavorate energicamente su un piano infarinato fino ad avere un impasto uniforme, quindi lasciatelo riposare coperto per almeno mezz’oretta.
Mondate i porri, eliminando le radici ma conservando quasi tutta la parte verde, e tagliateli a cilindri lunghi circa 7 cm.
Disponeteli in un tegame che li contenga a misura in un solo strato, unite 1 bicchiere di acqua, 3 cucchiaiate di olio e una pizzichino appena di sale e stufateli per circa mezz’ora semicoperti a fuoco basso.
Intanto stendete l’impasto di farro in una sfoglia sottile 2 mm, tagliatela a rombetti larghi due dita e tostateli a secco in una padella rovente pochi per volta per poco meno un minuto, fino a che si gonfiano; voltateli e cuocete ancora qualche secondo fino adr ottenere degli sgonfiotti appena croccanti.
Quando i porri sono morbidi unite shio-koji e aceto balsamico e lasciate insaporire un minuto a fiamma vivace., poi unite i ceci e saltate un paio di minuti.
Distribuite le verdure d il loro fondo di cottura in ciotole individuali (magari in bucchero, la ceramica nera degli Etruschi!), se vi piace un piatto brodoso unite qualche cucchiaio dell’acqua dei ceci, spolverate con le erbe e con il pecorino, terminate volendo con un giro di olio ed accompagnate con le lagane.
Fonti
– Apicio, Manuale di gastronomia, ( c.a 400 d.C), traduzione Adriana Bertozzi, Rizzoli, 2009, ISBN 978-88-17-02977-3
– Gianbatista Baseggio, Celio Apicio, delle vivande e condimenti ovvero dell’arte della cucina. Volgarizzamento con annotazioni, G. Atonelli Editore, Venezia, 1852
– Claudio Benporat, Storia della Gastronomia Italiana, Mursia, 1990, EAN 9788842507505
– Albetto Capatti, Massimo Montanari, La cucina italiana. Storia di una cultura, Laterza, 1999, ISBN 88-420-5884-X
– Gabriele Cateni, Etruschi: scene di vita quotidiana, Pacini Editore, 1984, ISBN (edizione 1990) 8877810009
– Marco Gavio de Rubeis, Giorgia Affanni, Roma antica in cucina. Tradizioni e ricette tra Repubblica e Impero, Doni delle Muse, 2020, ISBN 978-88-99167-21-9
– Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari (cura), Storia dell’alimentazione, Laterza, 1997, ISBN 88-420-5347-3
– Jean-Marc Irollo, Gli Etruschi: alle origini della nostra civiltà, traduzione dal francese di V. Carassi, Dedalo, 2008, ISBN 8822005686
– Quinto Orazio Flacco, Sermones (Satire), 35 a.C., traduzione Lorenzo De Vecchi, Carocci Editore, 2013, ISBN 9788843069620)
Helen Tosini, Apicio e la cucina degli antichi romani, “Ager Veleias” 10.15, anno 2015
Crediti immagini
– foto del sarcofago “dell’Etrusco obeso” da qui
– foto dell’affresco con banchetto etrusco da qui