La sapa o saba, uno sciroppo dolce e denso di antiche origini, è il risultato di una lunga cottura in un paiolo di rame del mosto d’uva bianca o rossa. Tradizionalmente era usanza mettere nel mosto anche una dozzina di noci con il guscio, che rivoltandosi nel lento bollire, aiutavano il mosto a non attaccarsi al fondo. La sapa è detta anche vino cotto o miele d’uva, era insieme al miele il dolcificante più usato nell’antichità.
Il mosto deve ridursi ad un terzo e dopo sei o sette ore di cottura raggiungerà una consistenza come l’olio. Tantissimo tempo per pochissimo prodotto: se ve ne regalano una bottiglia, saba, vincotto o ficotto, non fa differenza, prendetelo come un gesto d’affetto profondo e fatene buon uso. Un piatto tipico del maceratese sono i vucculotti con sapa e noci.
Pellegrino Artusi, nella sua celebre opera “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, pubblicata per la prima volta nel 1891, nomina il prodotto tra gli sciroppi usando le seguenti parole:
“La Sapa, ch’altro non è se non uno siroppo d’uva, può servire in cucina a diversi usi poiché ha un gusto speciale che si addice in alcuni piatti. E’ poi sempre gradita ai bambini che nell’inverno, con essa e colla neve di fresco caduta, possono improvvisar dei sorbetti”
In Sardegna la sapa, oltre che dal mosto, viene ricavata anche con arance e dai frutti del fico d’india è chiamata Saba de figu morisca.
SAPA DI ARANCE
di Patrizia Molomo
1 litro di spremuta di arance filtrata
700 g di zucchero
Versate il succo d’arancia in una casseruola dal fondo spesso e aggiungete lo zucchero. Mescolate bene e accendete la fiamma a fuoco molto dolce. Fate cuocere per 1,5/2 ore senza mai alzare la fiamma, schiumando sempre e rimestando ogni tanto. La saba sarà pronta quando avrà preso il colore caramello /rame e la consistenza sarà quella del miele. Non deve cuocere troppo perché rischia di diventare amara e troppo densa. Comunque, una volta fredda tenderà ad addensarsi. Si conserva molto a lungo in vasetti di vetro ermetici.
Foto copertina di Elena Broglia