Come appassionati di cucina vorremmo che il ricordo della figura di Luigi Veronelli nell’anniversario della sua morte non fosse sono qui nel Calendario ma che questa Giornata a lui dedicata portasse chi non lo conosce ad interessarsi all’immensa mole di conoscenze di vino, di cibo e di vita, che ci ha lasciato.
Avevamo già raccontato qui la sua storia attraverso i suoi menu e cucinato piatti tratti da sia qui che qui, ma oggi vogliamo parlare del suo approccio al mondo del cibo e del vino.
E’ praticamente impossibile riassumere in poche righe l’importanza del lavoro di Veronelli per la cultura eno-gastronomica italiana ed il contributo che diede, in qualità di appassionato, di critico, di esperto e anche di promotore, allo sviluppo dell’enologia del nostro Paese, a partire dagli anni ‘60: le sue trasmissioni televisive, le sue pubblicazioni e le sue collaborazioni con esperti suo pari aiutarono a diffondere la conoscenza della tradizione culinaria contadina e popolare, allora nota solo a livello locale e per lo più snobbata dalle nuove generazioni.
Parte con lui, di fatto, il riscatto della “cucina povera”, che lentamente si affranca dall’abbandono in cui era cascata con la ripresa del dopoguerra e viene rivalutata per la saggezza, la parsimonia e l’inventiva intrinseca delle sue ricette. Per non disperderci nella citazione dell’infinito elenco delle sue opere, rischiando pure qualche omissione, racconto di un solo volume, scritto nel 1973 da Veronelli a quattro mani con il giornalista Gianni Brera e di cui ho la fortuna di avere sotto mano sia la recente ristampa che l’edizione originale: La Pacciada.
Qui si porta la testimonianza di una persona che collaborò alla sua pubblicazione e che ci racconta come lavorava Veronelli. Nel Calendario, invece, proviamo a sottolineare l’aspetto che più ci ha colpito dell’impostazione di quel libro nella selezione delle ricette: il recupero non solo del “popolare” ma proprio del “semplicissimo”.
Mente a Brera erano affidate le pagine di inquadramento generale, di storia e di aneddotica sulla cucina lombarda “allargata” di cui tratta il testo, Veronelli si occupò di raccogliere le circa quattrocento ricette che ne illustravano la pratica a chi, in quell’epoca, ne stava smarrendo conoscenza proprio per la perdita totale di contatto con il mondo
contadino dell’allora mitizzata “civiltà urbana”.
E qui, tra i grandi classici che tutti si aspettano come i risotti, le polente ed i piatti con pesci di acqua dolce, spuntano quelle ricette meno conosciute, semplici negli ingredienti ma complesse nei sapori, che facevano felici i nostri nonni ma che i più giovani guardavano con diffidenza: la
Mariconda (Veronelli usa sempre le maiuscole, a rendere vero onore a quei capolavori!), una minestra di gnocchetti di pane, la Bissetta, un carpione di piccole anguille, la Frittata di rane, le Patate in umido o, mediamente abbastanza nota ai Lombardi, la Busecca, ovvero la trippa con cavoli e fagioli.
Ma la selezione dell’autore va oltre, citando preparazioni ancora più “povere”, quelle messe insieme davvero con poco o nulla, tipo zuppe e frittate fatte quasi solo di pane e di erbe o dolci messi insieme con un uovo, castagne, anche qui pane, un pizzico di zucchero e poco altro. Tra queste alcune ricette fanno quasi tenerezza, come la Fitascetta, una focaccia di cipolle a cui si aggiungeva una spolverata di zucchero per la gioia dei bambini, o il Pan moià, una zuppa di acqua bollente su fette di pane, con erbe e un pochettino di lardo a condire.
L’intento di Veronelli è chiaro: sottolineare con rispetto la fantasia che ha fatto di materie prime umilissime capolavori e del riciclo una vera e propria arte. Questi piatti, quasi ignorati negli anni ’70 in cui scrive, avevano sfamato le generazioni precedenti con sapori talmente corretti ed interessanti che sarebbe stato un peccato perdere per strada anche le ricette più semplici, come quella dei Borfadei, polenta e latte, o delle Uova in ciapp… le uova sode!
In omaggio alla volontà di valorizzazione di tutta quella sapienza popolare trascurata, con lo stesso spirito scegliamo come piatto a rappresentare questa giornata la Busecca matta, l’imitazione di un piatto di trippa per chi nemmeno quel taglio poco nobile poteva permettersi.
La riportiamo con le parole di Veronelli, con di seguito le dosi da noi verificate, per mettere subito in pratica le indicazioni del grande storico. Dalle parti di chi oggi scrive si aggiungono alla fine anche pepe nero e una spolverata di grana grattugiato, ma, ligi alla ricetta di Veronelli, qui non abbiamo osato.
PS: non conviene far aspettare la preparazione o le frittate assorbiranno completamente il sughetto e il piatto risulterà asciutto. Nel dubbio meglio abbondare di liquidi, perché il buono (e storicamente saggio) del piatto è servirlo con tanto pane, fare scarpetta e riempirsi la pancia!
LA BUSECCA MATTA
Preparo con uova e burro tante frittatine sottili e morbide senza farle colorire; le lascio raffreddare; le taglio a tagliatelle. Preparo a parte un soffritto con dadini di pancetta magra, burro, erba salvia e cipollina; aggiungo un poco di salsa fresca di pomodoro e di brodo; condisco con sale; vi verso le frittatine e faccio sobbollire sino a che hanno assorbito tutto il liquido. Servo subito.
per ogni persona
2 uova
20 g di pancetta
mezza cipolla piccola (oppure 1 scalogno)
1 fogliolina di salvia
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro (non è stagione di salsa fresca, ora)
1 bicchiere di brodo vegetale leggero
10 g di burro
sale
Fonti
– l’immagine di Veronelli con Brera è presa dal libro originale del 1973
– la ristampa reperibile in libreria (peccato non contenga i disegni della prima edizione) è: Gianni Brera, Luigi Veronelli, La pacciada. Mangiarebere in Pianura Padana, Book Time, 2014, ISBN 978-88-6218-247-8
1 Comments
Nel
30 Novembre 2020 at 9:22
Grazie mille!
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