A raccontare il burro ci hanno pensato negli anni scorsi il meraviglioso post tecnico di Michael e le istruzioni
per farselo in casa di Manuela, mentre Francesca ci ha spiegato come ricavarne una perfetta pasta sfoglia, che
ne è forse uno degli utilizzi più nobili e conosciuti.
Quest’anno avevo pensato di tuffarci un pochino nella sua storia, dai primi utilizzi come cosmetico ai tempi di Egizi, Greci e Romani al suo successivo ruolo di condimento nel Medioevo, dapprima raffinato ed infine, come qui, molto popolare. Poi mi sono ricordata che è proprio grazie ad una sua profumatissima ed insolita versione in forma di condimento che è sbocciata la mia passione per la cucina e ho deciso di partire da lì. Così oggi si parla del doppio mistero del condimento “alla San Giulio”.
Ancora non avevo vent’anni, cucinavo per sopravvivere e studiavo le ricette di libri e riviste come fossero oracoli. Fui folgorata da un piatto inaspettato: gli “gnocchi alla San Giulio”, apparsi sul settimanale Guidacucina del 27 febbraio 1984. Si trattava di gnocchi di patate conditi con burro fuso, zucchero, cannella e parmigiano. Questo abbinamento arrivò come un’illuminazione per la mia mente ancora ristretta, e mi mostrò come la cucina non avesse reali confini di pensiero, di luogo ne’ (scoprii poi) di tempo. Credo che tutto il mio viaggio nel mondo del cibo sia seriamente partito da lì.
Ai tempi ancora non mi interessavo di storia della gastronomia, quindi scoprii solo in seguito che lo zucchero nei piatti salati era una presenza storica durante tardo Medioevo e Rinascimento: alimento di importazione mediorientale, dunque molto raro e costoso, era considerato una spezia di lusso e per questo utilizzata nelle vivande ricercate più per la sua preziosità che per la sua dolcezza. Anche il burro, di difficile conservazione e per la cui produzione occorreva una quantità di panna molto superiore a quella necessaria per ricavarne formaggio, era riservato a pochi.
Lo sviluppo di un gusto che separa dolce e salato è relativamente moderno. Per quanto riguarda ad esempio il nostro piatto nazionale, in tutti i trattati di gastronomia italiani di quei secoli si cominciava a parlare di lagane, formentini, tria o maccaroni, ovvero di pasta: si trattava quasi sempre di gnocchetti oppure di maltagliati, spesso di farina, pangrattato, uovo e acqua, che venivano lessati in acqua o latte di mandorle (nei giorni di magro) o
brodo (nei giorni di grasso) e voluttuosamente conditi con burro, cacio e spezie quali cannella, noce moscata, zafferano e, appunto, zucchero. Quindi nella storia della pastasciutta all’italiana questo abbinamento di burro e zucchero era, oggi sembra incredibile, un classico.
Ma gli gnocchi San Giulio? Quando, nell’arco del ‘700, le patate cominciarono ad essere davvero consumate diffusamente e nacque l’idea di confezionare gnocchi pure con quelle, storicamente lo zucchero aveva perso già parecchia rappresentatività come condimento: la separazione del gusto tra dolce e salato era partita, lo zucchero era calato di prezzo grazie alle vastissime piantagioni americane e quindi non era più considerato una “spezia
rara” e stavano cominciando ad essere apprezzati, anche in abbinamento alla pasta, i sapori “nuovi” di pomodori, zucchine e peperoni.
Per quanto riguarda l’Italia l’abitudine di condire piatti salati con burro e spezie dolci è rimasta oggi quasi solo nelle zone del Trentino più vicine al gusto tedesco, però nulla la lega alla mia vecchia ricetta visto che San Giulio è un’isola del lago d’Orta, in Piemonte, non in Trentino, e che lì gli gnocchi tradizionalmente si condiscono con saporitissime
fondute di formaggi locali, certo con burro ma senza ne’ zucchero ne’ cannella.
Per la giornata nazionale dedicata al burro, dunque, la ricetta non è quella del giornaletto del 1984, legata ad un improbabile toponimo, bensì la sua ispirazione evidentemente più antica, profumata di veridicità storica: ad accogliere il burro dolce, profumato di zucchero e cannella, gli gnocchi sono gli antichi maccaroni, cioè gnocchetti “maccati” (ammaccati, ovvero impastati) di farina e pangrattato.
Senza ombra di patate… insomma quelli di cui parlano i trattati culinari dell’Anonimo Toscano nel ‘300, dell’ Anonimo Meridionale e di Mastro Martino nel’400 e di Bartolomeo Scappi nel ‘500. Gli stessi che Boccaccio nel suo Paese di Bengodi del trecentesco Decamerone si immaginava rotolare da montagne di formaggio. Tutti, immancabilmente, lussuosamente conditi con burro, cacio e spezie dolci.
MACCARONI ANTICHI AL BURRO DOLCE SPEZIATO
per 4 persone
per i maccaroni
200 g circa di farina bianca, più una presa per la spianatoia
200 g di pangrattato
2 uova medie (cad. circa 60 g, peso con il guscio)
2 cucchiai di formaggio lodigiano (o parmigiano) grattugiato
sale
per il burro dolce
120 g di burro
1 cucchiaio di zucchero
1 cucchiaino di cannella in polvere
2 chiodi di garofano
50 g di lodigiano (o parmigiano) grattugiato
sale
pepe nero al mulinello
Sbattete le uova con 100 ml di acqua; unite il pangrattato, il formaggio, un pizzico appena di sale e circa 200 g di farina, fino ad ottenere una massa morbida ed asciutta.
Impastate sulla spianatoia infarinata e formate dei salsicciotti spessi di un dito; tagliateli a tocchetti e premete ogni gnocchetto in centro, trascinandolo leggermente sul retro di una grattugia a fori medi, perché si formi una piccola conca ad accogliere il condimento da un lato ed una superficie “bitorzoluta” dall’altro.
Portate ad ebollizione una pentola di acqua con uno dei chiodi di garofano e una noccina di burro e salate leggermente. Fondete nel frattempo il resto del burro in un tegame con l’altro chiodo di garofano, lasciandolo appena dorare ma senza che diventi color nocciola. Spegnete ed unite al burro dorato la cannella, lo zucchero e una bella grattata di pepe.
Lessate i maccaroni, lasciandoli sobbollire per circa 5 minuti da quando vengono a galla; quando sono morbidi scolateli con un mestolo forato e trasferiteli nel condimento.
Padellate un paio di minuti, delicatamente, perché gli gnocchetti si insaporiscano, poi spegnete, unite il formaggio e mescolate con cura in modo che il formaggio si fonda.
Distribuite i maccaroni nei piatti individuali (meglio se riscaldati), spolverate a piacere con ancora un pizzico di cannella ed una presa di formaggio, irrorate con il burro rimasto nel tegame e servite subito ben caldo.
Bibliografia:
– Claudio Benporat, Storia della Gastronomia Italiana, Mursia, 1990, ISBN 88-425-0750-4
– Jean-Louis Flandrin, Massimo Montanari (cura), Storia dell’alimentazione, Laterza, 1997, ISBN 88-420-5347-3
– Sidney W. Mintz, Storia dello zucchero. Tra politica e cultura, Einaudi, 2020, ISBN 978-88-06-24691-4
– Terence Scully, L'Arte della Cucina nel Medioevo, Piemme, 1997, ISBN 88-384-2972-3