Il senso della rappresentazione del cibo: i simboli della natura morta seicentesca e la necessità di certezze di quella contemporanea
La rappresentazione del cibo nell’arte, specialmente in pittura, è sempre esistita, spesso depositaria di grandi significati simbolici, come si raccontava dettagliatamente nei tre articoli della Giornata Nazionale del Cibo nell’Arte del 2017, con gli approfondimenti di Maria Teresa Mangiare con gli occhi: il cibo nell’arte e di Eleonora Le foglie di vite ripiene (waraq dawali)
In particolare nelle Fiandre nell’arco del XVII secolo, detto “il secolo d’oro olandese”, si sviluppa un genere vero e proprio che si occupa della tavola: in italiano è detto natura morta mentre in olandese si chiama Still Leben, “vita silente”, e proprio di questa differenza di definizione, acutamente messa in luce da Giorgio De Chirico, parla l’articolo di approfondimento.
La natura morta nasce nei Paesi cattolici della Corona spagnola (Lombardia, Spagna e Fiandre), come superamento del manierismo artistico per dissimulare la metafora dell’essere in forme naturalistiche semplici e di grande bellezza: invece di rappresentare il corpo umano con le espressioni legate ai suoi sentimenti si rappresentano cibi, oggetti e fiori. Sembrano privi di vita ma riflettono i temi della vita e della morte, del bene e del male, attraverso una chiave simbolica che, nella cultura del tempo, era facilmente leggibile sia dagli artisti che dai committenti.
Data la sua esplosione in una Fiandra borghese e mercantile, La natura morta è stata considerata per secoli una pittura secondaria e “di genere” e solo negli anni ’50 ha cominciato ad essere studiata, rifacendosi a testi di mistici ed intellettuali dell’epoca. Così se ne sono colti i contenuti a livello simbolico, spirituale e religioso. E ci si è resi conto che il mutamento di stile e soggetto corrispondono a significati che vanno al di là di una maggiore ricchezza del committente.
Nel corso del ‘600 la natura morta fiamminga si è evoluta, insieme al benessere sociale ed alle aspettative artistiche della società olandese che ne rappresentava la committenza, ma in genere i pittori seguivano il medesimo principio compositivo: un tavolo parallelo ai limiti orizzontali del dipinto, spesso coperto con tovaglie dalle pieghe parallele al fondo della scena, accuratamente allestito con oggetti di varia foggia e natura, riprodotti con i colori locali e con livelli di dettaglio e di plasticità altissimi, valorizzati da una luce diffusa e uniforme.
La composizione stratificata riflette le convenzioni della tavola barocca e la disposizione in vista di ogni oggetto fa in modo che non venga oscurato dagli altri elementi e resti visivamente intatto, poiché considerato, sia dagli artisti che dai committenti, tropo prezioso per essere tolto alla vista per pure ragioni estetiche.
All’inizio del secolo si raffiguravano tavole sobrie, con elementi letti attraverso la lente della simbologia cristiana: fungevano da memento mori frutti morsicati o guasti, fiori appassiti, clessidre o orologi da tasca, insetti nocivi oppure in metamorfosi, che affiancavano prodotti locali, spesso orgogliosamente in primo piano, come formaggi, burro e latte (simboli anche della Quaresima, quindi di penitenza), aringhe affumicate e pesci freschi (simbolo di
Cristo).
Pane e vino (o l’uva da cui si ricava), poi, parlavano di Cristianità, le mele ricordano il Peccato Originale e citano indirettamente la Madonna che non ne fu toccata, i limoni la salvezza e la fedeltà, le noci aperte la Crocifissione (il guscio è il legno, il mallo la carne e il gheriglio è la natura divina di Gesù fonte di vita), le cipolle ricordano le lacrime prodotte dal peccato, un coltello la lancia nel costato, mentre la birra è la bevanda d’elezione dei Paesi della Riforma.
Di moda nei primi decenni del secolo, nei colorati ontbijtjes (colazioni frugali) la semplicità dell’allestimento riflette il sentimento di umiltà calvinista, mentre altri dettagli come briciole di pane, pezzetti di biscotto o tovaglioli stropicciati, rappresentano una tavola quotidiana e suggeriscono che c’è qualcosa in corso.
Ma nella cultura culinaria dell’aristocrazia olandese e della ricca classe media del XVII secolo i banchetti contavano fino a nove portate e si chiudevano sempre con un dessert.
Secondo l’etichetta olandese frutta fresca, frutta secca e confetteria erano parte del dessert come anche il formaggio, di conseguenza una piramide di caci in più strati e colori non è per forza rappresentazione di una mensa semplice.
Simboli di vanitas ed impermanenza restano infatti costanti anche nei decenni successivi, ma il valore sociale del dipinto in realtà consiste proprio nella sua permanenza: la rappresentazione di cibo che non si avaria ma resta sempre a disposizione racconta il benessere materiale della famiglia che lo ha commissionato, indipendentemente dalla semplicità o dallo sfarzo dei cibi ritratti.
Il secolo d’oro olandese, sempre più ricco grazie a commerci oltreoceano ed avventure coloniali, importa per golosi lussi esotici di ogni tipo: grazie ad atteggiamenti economicamente (e non solo) aggressivi sia di compagnie private che del Regno, fanno ben presto la loro comparsa sulle tavole fiamminghe frutta mediterranea, spezie indiane, tè sete e porcellane cinesi e giapponesi, zucchero dal Brasile, ma anche tabacco americano e schiavi dall’Africa. Più gli Olandesi si arricchiscono, più cercano di godersi la vita anche con letteratura, arte e beni materiali. Non a caso proprio allora il mercato dell’arte impazzisce per le nature morte, indirettamente simbolo artistico della prima società consumistica, che vuole celebrare ed immortalare il proprio benessere includendo i propri averi nei dipinti.
Il genere si evolve quando con gli anni ’30 le importazioni di cibi stranieri diventano più frequenti e gli ingredienti esotici quindi “necessari” e largamente disponibili per tutti. Ecco che si cominciano a dipingere banketjes (banchetti) che, oltre all’opulenza della famiglia, celebrano anche l’ampiezza dei domini e delle esplorazioni del Paese: le stoviglie sono ora d’oro, argento e peltro, lini candidi emergono da fondi scuri, cibi e oggetti vengono rappresentati quasi in scala reale, elementi sporgenti dalla tavola trascinano lo spettatore dentro il dipinto.
Anche la pittura diviene sempre più elaborata e nei piatti appaiono costose olive ed agrumi mediterranei, afrodisiache ostriche, aceto, i preziosissimi sale e pepe, e poi pasticci di carne, tipici dei giorni di festa e profumati con spezie d’importazione. Ma tra le voluttuose golosità restano per cenni i delicati simboli di tempo che scorre impietoso: un vetro rotto o crepato, una coppa rovesciata, una fetta di pasticcio abbandonata, delle candele spente. Continua la battaglia sottile tra vizio e virtù, in cui la bellezza (e bontà) del Creato è sottoposta alla legge della trasformazione e della caducità e il dipinto risulta di nuovo un soggetto di meditazione.
Con la fine della guerra contro la Spagna nel 1648, l’Olanda finalmente indipendente fiorisce ulteriormente e la vitalità economica, culturale e politica della ricca classe urbana di mercanti, commercianti e banchieri, detta moda più del re e dell’aristocrazia. I nuovi soggetti dei dipinti riflettono dunque le loro nuove esperienze ed aspirazioni elitarie: porcellane cinesi antiche piene di zucchero, vetri veneziani, argenti cesellati, tappeti persiani e damaschi come tovaglie, gli astici soppiantano le aringhe, il vino importato la birra.
Ma il fenomeno più curioso di questa fase è il dilagare della richiesta di dipinti di buona qualità a prezzi abbordabili: le nature morte vengono ora appese in tutte le case e che si tratti di originali, di copie o addirittura di stampe, al popolo olandese poco importa: l’arte ed il cibo sono di tutti. Con la fine del secolo si raggiunge l’apice del materialismo e, ai nostri occhi contemporanei, dell’insensibilità: nei dipinti compaiono anche degli schiavetti neri, riccamente vestiti ed ingioiellati, che portano alimenti rari o stoviglie preziose.
Rappresentano essi stessi un simbolo di lusso e ricchezza, da esibire con orgoglio alla pari di fini porcellane e frutti esotici. Un feticcio come un altro, i cui costi sociali e morali non erano presi allora in considerazione… esattamente come accade oggi per un qualsiasi articolo “firmato”.
Da questo atteggiamento ambivalente tra simbolismo ed ostentazione si stacca l’evoluzione più estrema della natura morta contemporanea, che ai maestri fiamminghi fa riferimento soprattutto per il senso compositivo e per l’attenzione estrema al realismo, che curava ogni dettaglio potesse rendere “verosimile” il soggetto raffigurato (si pensi per esempio ai perfetti riflessi degli oggetti nelle lame dei coltelli o nei vetri delle brocche) e che si ritrova intatto anche negli artisti di oggi che si dedicano all’iperrealismo.
Il grande sfoggio tecnico di armonia compositiva e di veridicità rappresentativa è infatti ciò che lega gli effetti visivi della natura morta antica ad una corrente artistica che, nata negli anni ’60 del secolo scorso come corrente della Pop Art Statunitense, acquisisce una precisa identità a partire dagli anni ’70 all’interno del movimento foto realista sia in America che in Europa. Si esaspera la sapienza pittorica fino a farcela confondere con la realtà, a volte tralasciando l’antico senso simbolico o religioso dell’opera, altre volte rinnovandone il senso, che lega il tema del tempo che scorre alle domande contemporanee sul significato della realtà percepita.
Il gioco diventa ancora più interessante quando, a questi dipinti che sembrano fotografie, si affiancano fotografie che sembrano dipinti, con artisti che usano dunque questo relativamente recente strumento espressivo a canoni estetici e percettivi dell’arte antica. Il maestro dei maestri di questo filone è Christopher Broadbent, inglese adottato dall’Italia, che si basa sulle stesse logiche compositive e plastiche dei pittori fiamminghi seicenteschi.
Storiche le sue immagini per campagne pubblicitarie di grande aziende del food, che istintivamente viene spontaneo definire “belle come dei quadri”! Ma il fenomeno è naturalmente anche olandese, come dimostra il sodalizio tra un cuoco e un fotografo che creano fotografie di still life in cui, ora che conosciamo la storia della natura morta fiamminga, è facile riconoscere chiari riferimenti sia iconografici che simbolici.
Ci è venuta fame, in tutto questo guardare immagini di cibo? Bene: prepariamoci una delle ricette che riproducono dipinti, come quelle del cibo nell’arte nelle giornate del Calendario del 2019 e del 2018
Oppure concediamoci uno sfizio dolce, pop e decisamente contemporaneo come quello proposto dall’olandese Jason De Graaf… ma sarà una foto o un dipinto?!
GELATINE COLORATE CON GUIZZO ALCOLICO
Per circa 36 pezzi
12 g di gelatina in fogli
50 ml di cola
50 g di succo di arancia (spremuta filtrata)
25 ml di succo di limone (spremuta filtrata)
15 g di zucchero extrafine
poche gocce di rum bianco
poche gocce di tequila
poche gocce di vermouth extra dry
Mettete in ammollo i fogli di gelatina in acqua fredda per 10 minuti.
In tre tazzine diverse versate la cola, il succo di arancia e quello di limone; all’arancia unire 5 g di zucchero e al limone 25 ml di acqua e 10 g di zucchero, mescolando bene perché lo zucchero si sciolga. Mescolare anche la cola per levare un po’ di gas.
Scaldate 30 ml di acqua e scioglietevi la gelatina strizzata, quindi dividetela in parti uguali nelle tre tazze e mescolate. Versate ogni preparato in formine da cioccolatino, negli stampi a cubetti per il ghiaccio oppure negli appositi stampini a forma di orsetto.
A metà delle formine di arancia mescolate qualche goccia di vermouth, alla metà di quelle alla cola unite il rum e a metà di quelle al limone la tequila e, quando è tutto ben freddo mettete in frigo coperto per almeno 6 ore.
Sformate le gelatine separando quelle alcoliche, che saranno per gli adulti, da quelle semplici, che sono per i bambini. Tenere in frigo fino al servizio e, volendo, spolverizzare all’ultimo momento con zucchero semolato le gelatine non alcoliche.
Testo e ricetta di Annalena De Bortoli
Fonti delle immagini
1. Cristoforo Munari, 1667/1720
2. Floris van Dijck, 1615/20
3. Willem Claesz Heda, c.a 1635
4. Abraham van Beyeren, 1636/90
5. Juriaen van Streek, 1653/80
6. Gianluca Corona, 2014
7. Tjalf Sparnaay
8. Christopher Broadbent
9. Christopher Broadbent, immagine pubblicitaria Barilla pubblicata su La Cucina Italiana del marzo1992
10. Christopher Broadbent, immagine pubblicitaria Fiorucci pubblicata su La Cucina Italiana del marzo1992
11. Kris De Smedt, 2014
12. Jason De Graaf