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La convinzione che Caterina de’ Medici abbia portato con sé uno stuolo di cuochi provetti quando andò sposa al futuro re di Francia Luigi II nel 1533, modificando così radicalmente la cucina francese di corte a somiglianza di quella fiorentina e “italiana”, è in realtà solo una leggenda. Gli storici Alberto Capatti e Massimo Montanari, oltre a ricostruire il curioso modo in cui questo mito si è creato (è tutto raccontato per bene qui), spiegano che in realtà gli scambi cultural-gastronomici tra i due Paesi erano attivi da secoli e che ci si è a lungo influenzati a vicenda.

L’egemonia del modello francese in ambito culinario del XVII secolo è dovuta alla maggior velocità dei cuochi di corte nell’abbandonare le abitudini di gusto tre-quattrocentesco, che apprezzava ricca speziatura, dominanza agrodolce e acidità delle salse, a favore di sapori più “naturali” come erbe e aromi locali, separazione tra il salato del pasto ed il dolce del dessert e salse delicate a base grassa.

In questa direzione l’arte italiana della cucina si è mossa più lentamente rispetto ai cugini d’Oltralpe perché non era affidata tanto ai cuochi quanto a scalchi, trincianti e, diremmo ora, a “responsabili di sala”, che si curavano più delle forme conviviali e scenografiche della tavola e delle innovazioni nella presentazione del cibo rispetto a quelle nella sua preparazione.

Ma un contributo italiano alla rapida evoluzione della gastronomia francese c’è stata davvero: se non è affatto documentata la presenza di numerosi ne’ autorevoli cuochi al seguito di Caterina, e nemmeno l’apporto improvviso a corte di innovativi gusti culinari dopo il regale matrimonio, non si può negare che dall’Italia arriva in Francia in quel periodo una nuova attenzione a ingredienti vegetali fino ad allora molto sottovalutati.

La valorizzazione dei prodotti dell’orto era secolare in Italia ma solo nel’500 questo concetto si internazionalizza e addirittura diventa gradito alle ricche tavole di corte, che avevano fino ad allora decisamente privilegiato la carne. Una spiegazione storica di questo fenomeno la troviamo nelle parole scritte da Giacomo Castelvetro, nobile
modenese nato nel 1546 che, per sfuggire alla persecuzione dell’Inquisizione a causa delle sue simpatie verso il Protestantesimo, dopo aver girato per tutta Europa, Parigi compresa, riparò infine a Londra dove, oramai anziano, si dedicò alla stesura di nostalgico un trattato, edito nel 1614, sulle meraviglie gastronomiche di orti e frutteti d’Italia del ‘500.

Ecco come spiega lui Perché gl’Italiani mangino più erbaggi e frutti: La prima è che la bella Italia non è tanto doviziosa di carnaggi [carni] quanto è la Francia e questa isola; perciò a noi fa di mestieri ingegnarci per trovare altre vivande da nudrir cotanta smisurata quantità di persone che si trovano in così picciolo circuito di terra.
L’altra, non men potente della già addotta, è per lo caldo grande che nove mesi dell’anno vi fa, che ci fa in guisa venire a noia la carne e particolarmente quella de’ buoi […]. Poi il castrato da noi non è, se non in pochi mesi, in alcuna considerazione, e ancora in quel tempo pochi la trovano buona [di buona qualità]. E per ciò più stima facciamo de’ frutti e degli erbaggi che ci rinfrescano e non ci riempiscono di tanto sangue.

E’ in questa chiave di valorizzazione delle verdure di stagione, causata in origine da povertà e clima ma oramai assurta ad abitudine culturale, estremamente innovativa per l’Europa dell’epoca ed estremamente italiana nel gusto, che proponiamo in questa giornata dedicata a Caterina de’ Medici una delle semplici ricette raccontate agli stranieri
dall’italiano Castelvetro. Si trova nella sezione dedicata alle piante primaverili che così vengono trovati da noi un ghiotto mangiare, che a scriverlo mi fa venir l’acquolina in bocca, ed è una elegante preparazione di asparagi e arance.


ASPARAGI ARROSTITI  ALL’ARANCIA
di Annalena de Bortoli

Ricetta originale
Degli sparagi:
[ …] pigliano i più grossi e prima d’olio gli ungono bene, e poi, avendovi sparto alquanto sale e pepe, sopra un tagliero gli rivolgono per quel sale impeperato, e così acconci sopra la graticola ad arrostir gli mettono, et è un delicato mangiare, massime spargendovi sopra sugo di naranzi.

Rivisitazione
per 4 persone

1 kg di asparagi (sono circa una quarantina)
2 arance
40 g di olio extravergine di oliva
sale
pepe nero al mulinello
(facoltativo: fiori di rosmarino per decorare)

Mondate gli asparagi, pareggiatene i gambi e fateli rotolare in olio sbattuto con sale e pepe, lasciandoli marinare qualche minuto nel condimento. Scolateli e cuoceteli alla griglia o sulla piastra a fuoco medio per 10-15 minuti, fino a che gli  asparagi si sono ammorbiditi e all’esterno risultano lievemente abbrustoliti.
Intanto grattugiate la scorza di mezza arancia e pelatele poi entrambe al vivo, lavorando sopra una ciotola per raccoglierne il succo che cola. Riducetene la polpa a rondelle, distribuitele con grazia su un piatto da portata o su quattro piccoli piatti ovali e colatevi sopra l’olio della marinata.
Disponete gli asparagi sopra le fette di arancia, spruzzate con il succo di arancia raccolto, decorate con la scorza grattugiata, i fiori di rosmarino e un’ultima grattata di pepe e servite subito.


CETRIOLI AL FORNO
di Annalena de Bortoli

Di Caterina de Medici oltre a queste gustose ricette con asparagi e cetrioli. nelle precedenti giornate, potete trovare la Carabaccia all’antica, la Carabazada di magro e l’Alkermes

 

Articolo di Annalena De Bortoli

Bibliografia:
Alberto Capatti, Massimo Montanari, La cucina italiana. Storia di una cultura, Laterza, 1999, ISBN 88-420-5884-X
Giacomo Castelvetro, “Brieve racconto di tutte le radici, di tutte l’erbe e di tutti i frutti che crudi o cotti in Italia si mangiano” in: Luigi Firpo (cura), Gastronomia del Rinascimento, Utet, 1974

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