I grandi punti nevralgici della cucina ebraica italiana sono senza dubbio Venezia, Ferrara, Casale, Pitigliano, Livorno e Trani, senza dimenticare Roma, che ospita la popolazione più antica e il ghetto più vecchio, dopo quello Veneziano.
A Pitigliano, tra le varie tradizioni, è degno di nota il simbolico “sfratto”, dolce a forma di frusta, allegoria ironica del continuo vagabondare forzato del popolo ebraico
Una ricetta storica che racconta e ricorda a chi è arrivato e arriverà avvenimenti che hanno lasciato tracce indelebili nella storia di un popolo e nella storia di tutti noi.
Pitigliano è uno dei borghi storici più affascinanti della Toscana, nel cuore della Maremma toscana, soprannominato La Piccola Gerusalemme perché a partire dal XVI secolo ospitò una grande comunità ebraica tra le sue mura. Fu tra il 1555 ed il 1569 che Papa Paolo IV emise alcune bolle papali che limitavano la libertà della popolazione ebraica che viveva nello Stato della Chiesa e che, di fatto, costrinse gli ebrei a lasciare le loro case e trasferirsi nei vicini territori. Questo è ciò che accadde a Sovana e Sorano e Pitigliano, vicino al confine con il Lazio che divenne, alla fine del XVI secolo, la nuova casa per una grande comunità ebraica in fuga dallo Stato della Chiesa. La convivenza tra la gente del posto e la nuova comunità fu pacifica e armoniosa e ben presto nacque un quartiere ebraico. Nel 1598 viene edificata la Sinagoga, nel 1608, dopo l’annessione al Granducato di Toscana, il Ghetto.
Con l’Unità d’Italia molti ebrei abbandonarono Pitigliano per raggiungere centri più grandi come Livorno, Roma e Firenze. Con le leggi razziali e la propaganda anti semita la comunità si ridusse notevolmente. Durante la II Guerra Mondiale i pochissimi ebrei rimasti a Pitigliano furono aiutati dalle famiglie del borgo, che li nascosero nelle campagne, o scapparono tra i partigiani. A Pitigliano è ancora possibile visitare il Ghetto ebraico e i locali una volta occupati dal macellaio kasher, dalla tintoria, dalla cantina e dal forno delle azzime, aperto una volta all’anno per la cottura dei dolci e del pane azzimo negli otto giorni di Pasqua.
Molte preparazioni di origine ebraica celebrano simbolicamente elementi della storia di chi li tramanda e Pitigliano ricorda al mondo il proprio passato di esodo e abbandono forzato della casa mediate gli sfratti, biscotti simbolo di un’epoca di imposizioni ma comunque espressione di incontro, di connubio fra diverse tradizioni gastronomiche, quella ebraica e quella maremmana. Fra le varie limitazioni cui furono sottoposti gli ebrei dell’epoca, nei primi anni del 1600 ci fu un editto emanato da Cosimo II dei Medici che prevedeva che tutti gli ebrei della sua contea dovessero vivere esclusivamente all’interno del Ghetto Ebraico appositamente creato. Gli uomini del Duca Cosimo dei Medici furono inviati casa per casa bussando alla porta di ogni cittadino di religione ebraica utilizzando un bastone, detto sfratto, esigendo il suo trasferimento nel ghetto.
Per ricordare lo sfratto dei Goym, si tramanda da secoli la ricetta di questo dolce che nella forma ricorda, appunto, proprio quella di un bastone, della lunghezza di 20, 30 centimetri e dal diametro di tre centimetri, costituito da una sfoglia sottile, leggera sebbene non lievitata, che racchiude un ripieno di noci tritate, miele, scorza di arancia, noce moscata. Si ottiene un dolce compatto e dal ripieno ricchissimo, che deve essere servito in fette sottili.
La ricetta degli “sfratti” segue il disciplinare di Slow Food che prevede due tipi di impasto per la sfoglia che racchiuderà il ripieno e stabilisce che:
SFOGLIA TIPOLOGIA A
60/70% Farina di grano tenero 00
20% vino bianco
12%zucchero
8% olio evo
SFOGLIA TIPOLOGIA B
45%/50% Farina di grano tenero tipo 00
15% vino bianco secco
14% zucchero
8%uova
8%olio evo
RIPIENO
50%/55% Miele millefiori
45%/50% noci
Scorza d’arancia
noce moscata qb
SFRATTI
di Leila Capuzzo
dosi per due sfratti
140 g farina 00
25 g di zucchero semolato
40 g di vino bianco
20 g di olio extravergine di oliva
la scorza grattugiata di una arancia
noce moscata quanto basta
150 g di miele di acacia
150 g di noci tritate grossolanamente
Preparate la sfoglia amalgamando bene gli ingredienti, avvolgetela in pellicola e fatela riposare in frigo per circa 30 minuti. Quindi stendetela e sagomatela in forma di due strisce abbastanza larghe da poter contenere il ripieno e avvolgerlo completamente avendo cura di tenere uno spessore di almeno 2-3 mm.
Preparate il ripieno cuocendo il miele per circa 20 minuti a fuoco basso facendo attenzione a non farlo bruciare. Aggiungete quindi le noci tritate grossolanamente e amalgamate. Togliete dal fuoco, aggiungete la noce moscata e la scorza di arancio e lasciate raffreddare fino a che l’impasto non sarà manipolabile senza scottarsi e senza rompersi. Dividetelo in due parti. A questo punto, con le mani unte di olio, create due filoncini con il composto e lasciate raffreddare completamente. Rivestite i due filoncini con la sfoglia avendo cura di sigillare bene il bordo. E’ possibile lucidare la superficie con olio di oliva.
Cuocere in forno a 180 °C per circa 30 minuti o comunque fino a che la superficie non è ben dorata. Si serve a fettine sottili una volta ben raffreddato.
Un dolce forse non famoso, ma che ci porta a ricordare …
Fonti: Pitigliano e Ricetta dolce dello Sfratto
2 Comments
Mapi
27 Gennaio 2019 at 9:24
La cucina italiana è fortemente debitrice nei confronti di quella ebraica, anche se spesso lo dimentichiamo (o magari non lo sappiamo nemmeno).
È bello che la memoria passi anche per il palato. ❤
elena
27 Gennaio 2019 at 9:53
complimenti per il post e per la ricetta, non si deve dimenticare!
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