La Finanziera
Il ritornello è sempre lo stesso: gli ingredienti più poveri, gli scarti delle lavorazioni più umili, nelle mani sapienti di un cuoco o grazie all’inventiva di certe massaie diventano con il tempo piatti nobilissimi.
La finanziera non fa eccezione. Dall’etimo si potrebbe pensare che sia una ricetta presente nelle mense della Guardia di Finanza in quanto antico corpo militare fondato nel 1774, e dove il ruolo di “cuciniere” era di primaria importanza. In realtà i piatti “alla finanziera” hanno avuto diffusione nella cucina classica francese soprattutto durante l’Ancien Régime, ma possiamo dire che è una preparazione piemontese la cui prima ricetta risale addirittura al 1450, proposta dal Maestro Martino (“Per fare un pastello de creste, ficatelli et testiculi di galli”) e che nel corso del tempo ha subito diverse trasformazioni. Un piatto povero nato dalla necessità di riutilizzare le frattaglie di scarto di polli e vitelli, che a un certo punto ha abbandonato le tavole dei contadini per diventare un piatto elitario. Veniva preparata tra la primavera e l’estate, nel periodo in cui i polli venivano castrati per diventare capponi e quindi c’era molta disponibilità di creste e bargigli che della finanziera sono la parte più rappresentativa. Ma è solo successivamente che il termine “finanziera” si diffonde nella cucina borghese.
Siamo nell’Ottocento e intorno alle 13, nelle vie del centro di Torino, decine di uomini politici, banchieri, finanzieri abbigliati elegantemente con la foggia dell’epoca, in tuba e giacca lunga, (lo stiffelius o, appunto, la finanziera) si recano nei numerosi ristoranti della città per la “pausa pranzo”. Un piatto da loro molto richiesto, da consumare velocemente ma allo stesso tempo piacevole e nutriente, un intingolo a base di frattaglie di pollo e di vitello. La Finanziera appunto. Che prenderebbe il nome proprio dall’abbigliamento di questi personaggi d’altri tempi. Pare che fosse anche il piatto preferito di Camillo Benso di Cavour, guarda caso Ministro delle Finanze, assiduo frequentatore del ristorante Il Cambio, dove la consumava al suo solito tavolino.
Un’altra teoria racconta che l’origine del nome si deve al balzello in rigaglie e frattaglie che i contadini pagavano sottobanco ai “finanzieri” per evitare controlli troppo accurati , quando entravano in città a vendere i propri prodotti. I doganieri torinesi si sarebbero poi ingegnati ad utilizzare questi “tributi” preparando il piatto in questione.
La finanziera è una pietanza decisamente particolare, non ha vie di mezzo, gli ingredienti utilizzati, decisamente atipici, ne fanno un piatto con un gusto marcato e netto. Inizialmente preparata come salsa d’accompagno con cui riempire vol-au-vent o tartellette, nel tempo si nobilita diventando piatto a sé, da gustare accompagnata da riso in bianco, ed è una delle più classiche ricette della cucina Piemontese, non c’è famiglia che non ne abbia messo a punto una propria versione.
Ma il ritornello, come abbiamo già detto, è sempre lo stesso e la ricetta nata dalla povertà, lungo la strada verso i tavoli del Cambio, è stata stampata sui più noti trattati di cucina ottocenteschi, da quello di Giovanni Vialardi, capocuoco di Carlo Albero e Vittorio Emanuele II, al Dizionario Gastronomico di Alexandre Dumas, sotto la voce ragout, sia pure arricchito dalla presenza di tartufi, passando per Anthelm Brillat-Savarin col suo libro Fisiologia del gusto e fino a Pellegrino Artusi e il suo Scienza in cucina e l’arte di Mangiare bene.
Un percorso di tutto rispetto se si pensa ad un piatto nato dalla necessità!
Finanziera
Per 6 persone
100 g cervella di vitello
100 g filoni di vitello
100 g creste bargigli e “ovette” di gallo
100 g di testicoli di vitello (grisèle)
100 g polpa di vitello tritata
1 uovo
2 cucchiai di parmigiano grattugiato
100 g di funghi porcini sott’olio
1 dl di marsala secco
3 cucchiai di aceto di vino rosso
50 g di farina
50 g di burro
sale – pepe
Mettere le animelle e le grisèle in un tegame, ricoprirle d’acqua, mettere il recipiente sul fuoco e lasciare bollire per cinque minuti, quindi far raffreddare sotto acqua corrente; dopodiché scolare, eliminare la pellicina che ricopre le animelle e tagliare il tutto a dadini.
Mettere le creste ed i bargigli in una casseruola, ricoprirli d’acqua, salare e mettere sul fuoco; appena l’acqua comincerà a scaldarsi, prendere fra le dita una cresta (uguale per i bargigli), stropicciarla e, se la pelle si stacca, levare il recipiente dal fuoco. Scolare e mettere tutto sopra un canovaccio, spolverizzare di sale fino poi, aiutandosi con le mani, strofinarli bene nel canovaccio per togliere completamente la pelle, bucherellare con un ago, rimettere a bagno in un recipiente con acqua fredda salata per almeno quattro ore, cambiando l’acqua ripetutamente affinché le creste e i bargigli rimangano bianchi,
Mettere a bagno in acqua fredda le ovette di pollo, immergerle poi in acqua bollente ma a fuoco spento; quando si sarà raffreddata, scolarle e levare la pellicina che le ricopre. Ripetere una seconda bollitura allo stesso modo, una volta che il bollore riprende, spegnere il fuoco, immergervi le ovette e lasciarvele fino a quando l’acqua si sarà raffreddata. Sbollentare cervella e filoni in acqua salata e leggermente acidulata, lasciar raffreddare, pulire la cervella dalla pellicina esterna e tagliare anch’essi a dadini.
Amalgamare la carne tritata con l’uovo intero, il parmigiano il sale e il pepe e ricavare delle piccole palline poco più grandi di una nocciola, e infarinarle.
Infarinare anche tutti gli altri ingredienti.
Porre sul fuoco una casseruola con il burro, appena si sarà fuso unire le polpettine di carne, salarle e farle rosolare un poco. Unire poi nell’ordine, i lacèt, le grisèle, le creste, i bargigli, i filoni e per ultimo aggiungere le ovette e la cervella, a metà cottura mettervi i funghetti tagliati a dadini. Lasciare cuocere a fuoco lento mescolando ogni tanto affinché non si attacchino al fondo della casseruola. A cottura quasi ultimata versare sulle carni l’aceto e il marsala. Se l’intingolo risultasse troppo forte unire una puntina di zucchero. Servire ben caldo.
Articolo di Giuliana Fabris
Foto da Taccuini Storici e Cucchiaio d’Argento