Oggi, Fabrizio De Andrè avrebbe compiuto 78 anni.
Son numeri che non contano, per gli Artisti: l’immortalità che hanno conquistato con le loro opere travalica il tempo, lo spazio, le mode, persino i gusti personali che cedono, di fronte ad una superiorità oggettiva che mette tutti d’accordo. Ma sono comunque date che si ricordano con rimpianto, nella convinzione forse assurda ma tenace che tanto ancora avrebbero avuto da dire, da mostrare, da insegnare.
Fra gli orfani di De Andrè, Genova è la più orfana di tutte.
Sembra un paradosso, per una città che ha dato i natali ed è stata fonte di una ispirazione costante, anche quando non immediata. De Andrè era un genovese vero, nella còcina lieve, nel distacco dei modi, nella tolleranza ruvida e quasi scostante della gente di mare che osserva in silenzio e in silenzio agisce, parca di parole e di giudizi. E’ questo che ci manca, questo continuo rispecchiarci in questo strano DNA che De Andrè ha reso comprensibile a tutti e che è lo stesso che riconosciamo nella bellezza schiva di una città che si nasconde all’ombra dei suoi carrugi, negli spicchi azzurri del mare, nella genialità di una cucina fatta di niente che sa toccare le vette più alte della perfezione nella forma e nel gusto, come quella Cima che De Andrè ha cosi magistralmente cantato.
LA CIMA GENOVESE
La cima ripiena (A çimma pinn-a) è la regina delle pietanze genovesi, di origine remota, si trova in molte varianti anche nelle Riviere, sia di levante che di ponente, dove vengono aggiunti spinaci o bietole al ripieno di carne e uova.
Consiste in una tasca di carne ricavata dalla pancia del vitello (la parte che copre le costole) spessa circa mezzo centimetro, coperta da una pellicina su tutte e due le facce, piegata a libro e cucita, riempita di un composto di carne, frattaglie bianche, verdure e uova, lessata poi in brodo, raffreddata sotto un peso, affettata e servita fredda con salsa verde, insalata, sottaceti o insalata russa. E’ un piatto elaborato tipico delle festività. Immancabile sulla tavola nel giorno dell’Epifania, che a Genova è detta Pasquetta, e per la scampagnata del Lunedì dell’Angelo, il giorno dopo Pasqua.
L’origine storica del piatto rientra in quella tradizione culinaria genovese dedita all’utilizzo di pochi ingredienti della scarsa produzione locale e molti costosi di importazione che arrivavano a Genova da tutto il mediterraneo con le navi mercantili.
In una terra stretta fra mare e montagne subito impervie, dove il terreno coltivabile e da dedicare all’allevamento è scarsissimo, le massaie si sono sempre ingegnate a sfruttare al massimo ogni risorsa. Da qui la cucina della lavorazione e trasformazione di materie prime “povere” per realizzare piatti sopraffini e il sapiente dosaggio di erbe e spezie per arricchire e insaporire. In questo contesto nasce la “cucina del ripieno” con i ravioli, i pansoti, le torte di verdura e la Cima Ripiena dove si sfrutta un taglio di carne altrimenti inutilizzabile e si trasformano uova e frattaglie in un piatto elegante e di sicuro effetto scenico.
- 1 cima di vitello da 6 uova (circa 1 kg):
- 6 uova
- 1/3 cervella
- 100 gr filoni e animelle
- 100 gr carne di vitello
- 2 cucchiai colmi di mollica di pane bagnata nel brodo e ben strizzata
- 50 gr piselli finissimi (anche surgelati)
- 1 carota
- 2 cipollotti
- 20-30 gr parmigiano
- Burro
- Maggiorana
- Sale, pepe
Per il brodo:
- Sedano, Carota, Cipolla
- Alloro, Timo
- Sale, Pepe in grani
Stendete il pezzo di carne sul piano di lavoro con la parte esterna sul tavolo e ripulite l’interno dall’eccesso di grasso e pelli rendendo uniforme lo spessore e stando ben attenti a non bucare la pelle. Piegatelo in due nel senso delle fibre, in modo da averle lungo il lato lungo, e cucite la tasca lasciando aperto parzialmente un lato corto che chiuderete dopo averla farcita. Usate il punto smerlo o punto coperta.
Riempitela di acqua per controllare che non ci siano perdite, altrimenti provvedete a chiudere le falle. Svuotatela, asciugatela esternamente e preparate il ripieno.
Tagliate la carne di vitello a dadini piccoli e saltatela in padella con poco cipollotto, qualche dadino di carota, burro e sale, non cuocetela troppo.
Spellate cervella e filoni e tagliateli a pezzetti piccoli. Scottate le animelle, spellatele e tagliateli a pezzetti piccoli. Saltate le carni in padella con burro e cipollotti affettati fini. Pulite la carota, riducetela a dadini e scottatela in acqua bollente con i piselli. Riunite insieme verdure e carni.
Battete le uova con il parmigiano, sale, pepe, poca maggiorana tritata fina. Aggiungete le carni e le verdure. Deve restare un composto semiliquido, con prevalenza di uovo.
Sistemate la tasca di carne in un recipiente alto e stretto e con l’imboccatura aperta per facilitarvi l’operazione di riempimento. Se qualcuno gentilmente ve la tiene, meglio. Riempite la tasca già cucita solo per metà se no in cottura scoppia. Cucite l’apertura rimasta cercando di lasciare dentro meno aria possibile.
Mettete la cima a bollire in una casseruola grande, coperta di acqua e con i gusti da brodo. Salate e portare a bollore. Fate sobbollire delicatamente almeno 1 ora e mezza a fuoco basso girandola ogni tanto e bucandola con un spiedo per evitare che scoppi e diventi irrecuperabile.
Spegnete il fuoco e quando non è più troppo calda tiratela fuori e mettetela a raffreddare sotto un peso. Quando è ben fredda e compatta tagliate a fette non troppo spesse
Accompagnate con: insalata verde, sottaceti, ratatuia, capponata o insalata russa
Da bere: Bianchetta del Tigullio
Note:
- Si possono aggiungere al ripieno spicchietti di carciofo e pinoli.
- E’ uso della riviera ligure aggiungere al ripieno degli spinaci scottati, strizzati e tritati grossolanamente.
- Per evitare che, in caso di rottura, il ripieno vada nel brodo fasciate la cima in un telo bianco (senza odore di sapone) e legate non troppo stretto.
- Le fette avanzate si possono impanare e friggere come cotolette. Buonissime
Testo Alessandra Gennaro
Testo, ricetta e foto Cima di Vittoria Traversa
Disegno-banner copertina di Mai Esteve
1 Comments
Mai
18 Febbraio 2018 at 12:04
Mi azzarderei dire che questo post risulta magico!
Leggere con di sfondo Fabrizio De Andrè mi ha fato emozionare e non sono né ligure ne genovese!
La cima l’ho mangiata per la prima volta a Genova in un ristorante vicino al porto, ricordo che l’ ho vista servire nel tavolo dei vicini e ho chiesto di portarmi lo stesso… mai saputo, fin’ora, che dentro c’erano le frattaglie! Buona!
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