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Malgrado una presenza sul territorio che data di più di 2000 anni, è difficile poter parlare di una cucina ebraica italiana. Questo perché come la cucina italiana stessa, anche quella ebraica è molto diversa. Di regione in regione, di ghetto in ghetto, si sono assorbiti nei secoli tradizioni regionali e si sono adattati piatti provenienti da altri paesi, dovuto alle migrazioni forzate del popolo ebraico lungo la storia.

La cucina ebraica e quella italiana, inoltre, sono state per secoli partecipi di un gioco di dare e prendere, di scambio reciproco.
In pratica, esistono preparazioni ebraiche che gli italiani consumano senza a volte conoscerne le origini, e allo stesso tempo, preparazioni italiane sono predilette e rese kasher (idonee) dagli ebrei, come la carbonara, per farne solo un esempio banale.

L’influenza ebraica sulla cucina italiana è comunque molto vasta. Da Sud a Nord, a coesistenza di vari gruppi diedero vita a diverse preparazioni che ancora oggi si consumano sulle nostre tavole.
Sono di natura ebraica per esempio, le caponate, dato che, come conferma anche l’Artusi, la melanzana era considerata fino all’800 cibo da ebrei; così come il carciofo, che una volta aperto a girasole e fritto, diventa « alla giudia » emblema incontestabile della tradizione culinaria romana, ebraica e non.

Anche l’agrodolce è frutto dello scambio culturale con la cucina ebraica. Basti pensare alle sarde in saor, o alla ruota del faraone o Frisinal, un pasticcio di tagliatelle, carne, uvetta e pinoli che dalla cucina ebraica è passato a essere semplicemente cucina italiana.
Originari della cucina ebraica sono anche molti dolci senza lievito, come la bocca di dama, le paste di mandorle.

La cucina ebraica italiana è una cucina di territorio, che si adatta alle tradizioni regionali e storiche, facendo uso degli ingredienti e materie prime del paese: come fai oli, le verdure e la frutta o le carni permesse. Esempio su tutti l’oca, che, grazie agli ebrei tedeschi e francesi, è stata presa in « eredità » dagli italiani e usata come sostituto del maiale su tutte le tavole ebraiche.

I grandi punti nevralgici della cucina ebraica italiana sono senza dubbio Venezia, Ferrara, Casale, Pitigliano, Livorno e Trani, senza dimenticare Roma, che ospita la popolazione più antica e il ghetto più vecchio, dopo quello Veneziano.
Piatto indiscutibilmente di origine ebraica veneziana sono i bigoli in salsa, mentre a Ferrara troviamo le burriche e l’albondiga, tramandati dai ponentini iberici. A Casale i krumiri resi kasher sono un gran esempio di quello scambio avvenuto durante i secoli tra le due cucine. A Pitigliano, tra le varie tradizioni, è degno di nota il simbolico “sfratto”, dolce a forma di frusta, allegoria ironica del continuo vagabondare forzato del popolo ebraico.

Roma è invece uno degli esempi più eclatanti di come le cucine si siano fuse in una stessa. Mentre gli ebrei hanno adottato cacio e pepe e declinato la carbonara in versione kasher di carne o di latte, preparazioni ebraiche come la concia di zucchine, la cassola, la pizza di ricotta e visciole e i carciofi alla giudia sono oggi classici della cucina romana, patrimonio di tutti. Simbolo di una cultura di scambio secolare, che ancora oggi continua, malgrado la storia.

 

 

Testo: Eleonora Colagrosso

Foto di Tamara Giorgetti

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