Quando si parla di gusto, viene subito in mente il palato, la buona cucina, l’aspetto gastronomico della vita anche se con lo stesso termine si intende tutto quell’insieme di semplicità, originalità e qualità che caratterizza le scelte benfatte. In un certo senso, il gusto a tavola è lo specchio di un modo di intendere cultura e ricerca, fa parte cioè di un patrimonio più ampio che appartiene al territorio e ad ognuno di noi.
Milano è una città che nella sua identità autentica ha fatto proprio il concetto di “gusto” esprimendolo in direzioni diverse e complementari. E’ una città che può contare su un patrimonio culinario e culturale fatto di tradizione e innovazione che permette ad ognuno di scegliere, ma per comprendere la ricchezza della cucina milanese bisogna considerare la posizione della città nella geografia della Lombardia che è la regione che produce oltre un quinto del reddito nazionale rappresentato non solamente dall’industria ma, almeno per la metà, dall’agricoltura e in particolare dalla zootecnia. E’ quindi comprensibile come le tradizioni alimentari lombarde e milanesi siano strettamente legate sia alla carne che al latte e ai suoi derivati.
Ed è sicuramente la carne la protagonista della maggior parte delle ricette milanesi. La pentola col brodo perennemente sul fuoco era una caratteristica di molte famiglie e la grande disponibilità di legna da ardere ha dato l’origine all’uso di piatti dalle lunghe cotture, come gli stufati e gli stracotti. Per la grande abbondanza di scarti di macellazione e la necessità di recuperare le parti meno nobili degli animali sono nati molti piatti tradizionali, come la busecca (trippa) i mondeghili e l’ossobuco.
Òssbüs, osso bucato, un tempo piatto domenicale delle tavole borghesi. Decisamente unico nel panorama della cucina italiana che mescola, con la gremolada, sapori molti diversi fra loro: acciuga e scorza di limone.
Ricavato dal taglio del geretto (garretto o stinco) del vitello che non deve superare i 300 kg di peso e deve aver ricevuto una alimentazione solo a base di latte. La parte migliore è quella ottenuta tagliando alla metà del muscolo posteriore dove l’osso ha una ricca dotazione di midollo e dove è giustamente proporzionato il rapporto fra carne e tessuto connettivo, così la carne sarà più tenera, meno nervosa rispetto al geretto anteriore. Un concorso di requisiti fondamentale per la riuscita di questo piatto dove il midollo è una parte molto importante dato che contribuisce a crearne la caratteristica cremosità. La tradizione milanese racconta che quello che restava del midollo veniva estratto con un apposito cucchiaino appuntito, chiamato ironicamente esattore (quello delle tasse).
La cottura viene fatta in un intingolo ristretto, a fuoco basso, con l’aggiunta di liquidi poco per volta; così può rimanere sul fuoco a lungo, senza perdere sapore. Imprescindibile anche la “gremolada” (dal milanese arcaico gremolà = tritare, sminuzzare) o gremolata, che deve completare il piatto: una salsa composta da buccia di limone, aglio, prezzemolo e a volte acciuga, tritati finemente, e che conferisce un tocco decisamente inconsueto.
Dal 2007, l’Ossobuco ha avuto il riconoscimento di De.Co. dal Comune di Milano e sono anche nate Confraternite per tutelare e promuovere la cucina milanese e l’Ossobuco in particolare. Esiste uno statuto di tredici comandamenti che sancisce l’obbligo di attenersi rigorosamente alla ricetta scritta dai Saggi, con pochissime variazioni.
Un piatto cult, che può essere servito da solo o con polenta, puré di patate o spinaci al burro, ma il classico, tradizonale, perfetto accompagnamento è il risotto alla milanese, elemento davvero unificante della cucina lombarda.
Materia prima di qualità, tecnica e un po’ di pazienza: così nasce il vero Ossobuco, emblema del “gusto” milanese.
La ricetta della Confraternita:
OSSOBUCO IN GREMOLADA
Ingredienti per 4 persone:
4 ossibuchi alti almeno 4 cm. tagliati al centro del geretto (stinco) di vitello, affinché ci sia la giusta dose di midollo (deve essere utilizzato esclusivamente vitello allevato e macellato in Italia)
60 g di burro
2 cipolle novelle (fuori stagione, una cipolla bianca)
1 piccola carota
1 costa di sedano
farina 00 q.b.
1 dl di vino bianco secco di qualità
brodo di manzo e/o vitello fatto con le ossa q.b.
pepe bianco
sale
per la gremolada:
1 grosso spicchio d’aglio
la scorza di un limone non trattato (solo la parte gialla)
un ciuffo di prezzemolo
PREPARAZIONE:
Incidete la fascia esterna degli ossibuchi, per evitare che si arriccino in cottura; lavateli e asciugateli accuratamente, infarinateli ben bene. Preparate un trito sottile di sedano, carota e cipolle. Mettete in tegame le verdure tritate con del burro e lasciatele appassire piano piano, poi toglietele dal tegame e tenete da parte. Nello stesso fondo fate colorire la carne da tutti i lati. Rimettete nel tegame le verdure tolte in precedenza e quanto il tutto riprende calore, sfumate con il vino bianco e lasciate evaporare. Salate e pepate e unite il brodo.
Coprite il tegame e fate cuocere dolcemente, voltando la carne di tanto in tanto e aggiungendo altro brodo se il fondo si asciugasse troppo. Sono pronti quando la carne tende a staccarsi dall’osso.
Nel frattempo tritate l’aglio, il prezzemolo e la scorza di limone per fare la gremolada. Quando l’ossobuco è cotto, togliete il tegame dal fuoco, aggiungete la gremolada e mescolatela bene con il fondo. Conservatene un po’ da parte per aggiungerla nel piatto, direttamente sopra l’ossobuco.
VARIANTI:
Sono ammesse le seguenti varianti:
– 1 o 2 acciughe salate, diliscate, tritate insieme alla gremolada;
– olio extra vergine d’oliva in aggiunta al burro o in sostituzione di quest’ultimo;
– uso in cottura di pochissimo pomodoro o estratto.
Testo di Giuliana Fabris
Foto di Tamara Giorgetti