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Il castagno è una pianta di origine antichissima, originaria dell’Asia Minore che dalla Grecia si è diffuso in Italia probabilmente ad opera degli Etruschi. La castagna è quindi presente nella dieta alimentare dell’uomo fin dalla preistoria e gli uomini primitivi se ne cibavano quando ancora l’agricoltura era una pratica sconosciuta. In epoca storica le sue virtù erano ben note e celebrate già dagli autori più antichi come Senofonte, Virgilio, Marziale e Apicio.

Molta documentazione ci è giunta dal passato a testimonianza dell’importanza con cui venivano tenute in considerazione le piantagioni di castagni come svariate norme di tutela per le selve castanili nonché ammende per eventuali danni arrecati.

I castagneti hanno conosciuto in Italia due grandi fasi di espansione, la prima con i Romani, che apprezzavano moltissimo sia la pianta, che il frutto, che il legno e la esportarono ovunque, impiantando castagneti dal bacino del Mediterraneo in Europa e a nord delle Alpi, spingendosi fino alla Germania settentrionale e nella Svezia meridionale.

Conoscevano e avevano messo a punto diversi metodi di cottura, che sono poi quelli giunti fino a noi: sulla fiamma diretta, nella cenere, nel latte o, come suggeriva Apicio, al tegame con spezie, erbe aromatiche, aceto e miele.

L’altra fase importante per la coltivazione della castagna è stata il Medioevo. Seguendo un’iniziativa di Matilde di Canossa, che convinta dell’importanza essenziale che le castagne rivestivano per l’alimentazione delle popolazioni rurali, ne moltiplicò la diffusione affidandola ai monaci benedettini e ideando addirittura un criterio di disposizione degli alberi che porta il suo nome. Fu allora che si affermò il mestiere di “castagnatores” svolto da contadini specializzati nella raccolta e lavorazione del prodotto.

Le castagne divennero così l’alimento principale delle genti di montagna e tacciato di “cibo plebeo” da evitare nei menù di corte.

Prima della scoperta dell’America, quando in Europa non esistevano ancora né le patate né il mais, la castagna era infatti l’alimento che più di ogni altro preservava dalla fame e permetteva di superare periodi di carestia. Non soltanto grazie alla sua abbondanza e alla facilità di conservazione allo stato essiccato, ma anche alle sue virtù nutrienti e al benefico senso di sazietà che assicurava il suo consumo. Con la farina di castagne si preparava una polenta che ha preceduto di secoli, o addirittura millenni, quella di granoturco.

Nel Rinascimento invece la coltura della castagna ebbe una battuta di arresto in favore della coltura dei cereali. In concomitanza con la crescita demografica e la domanda alimentare, nelle aree di pianura e di collina si iniziò la coltivazione di cereali, ma in montagna dove questa coltura non attecchiva, quella del castagno prese il suo posto. Due fenomeni si svilupparono in modo parallelo: campi di cereali e piantagioni di castagno crescevano di pari passo. Nonostante l’avvento delle piantagioni cereali, la castagna ha continuato comunque ad essere diffusa fino alla fine dell’Ottocento quando i mutamenti sociali in atto fecero progressivamente ridurre le superfici destinate a castagneti da frutto.

La castagna è stata l’alimento di sussistenza durante le guerre quando mancavano anche le derrate alimentari più necessarie. La sua versatilità,  gli svariati metodi di utilizzo e il senso di sazietà che conferiva permisero di sopravvivere durante uno dei peggiori momenti di carestia della nostra storia. Paradossalmente è stato proprio per il suo ruolo “di salvatrice” durante la forte penuria e che il fatto che, nel secondo dopoguerra i boschi di castagne sono entrati in una fase di decadenza e arretramento, in parte a causa dell’abbandono delle campagne (in particolare delle zone montuose) e il conseguente taglio indiscriminato dei boschi, sia per il miglioramento delle condizioni di vita. Inoltre le castagne ricordavano quegli anni di privazione, di fame, di povertà che andavano cancellati dalla memoria nell’Italia del boom economico.

Per fortuna negli ultimi trent’anni si è tuttavia assistito a una ripresa di interesse verso il magnifico castagno e il suo frutto. Sono stati ottenuti notevoli successi nella lotta contro i parassiti con nuovi innesti.

Dopo il boom economico, gli anni degli yuppie e degli sprechi, c’è necessità di un ritorno ai tempi che furono. La castagna rappresenta non più povertà, ma semplicità, non più fame, ma ricerca della moderatezza. Tempi meno complessi, i cui valori garantivano un andamento rassicurante.

Finalmente quindi il castagno è tornato definitivamente, almeno speriamo, all’attenzione dei coltivatori e dei consumatori. Anche se la produzione non è più ai livelli di un secolo, fa ciò che conta è il nuovo approccio ambientale e l’attenzione all’ecosistema boschivo. E’ necessario difendere e preservare una risorsa che è sempre stata centrale nella storia dell’alimentazione dell’uomo: un’intera economia si è sempre basata sulla castagna tanto che fin dall’antichità il castagno era stato definito come “albero del pane” e il suo frutto “pane dall’albero”, una risorsa primaria di tante comunità intorno alla quale ruotava la vita e la cultura locale.

La notorietà e importanza sociale che ha sempre avuto la castagna nella storia dell’uomo si può riscontrare anche nella letteratura e nella lingua. E’ spesso citata in trattati, componimenti e poemi dai Greci e Romani a Pascoli, che la cita a più riprese in differenti opere:

« Per te i tuguri sentono il tumulto or del paiolo che inquïeto oscilla; per te la fiamma sotto quel singulto crepita e brilla: tu, pio castagno, solo tu, l’assai doni al villano che non ha che il sole; tu solo il chicco, il buon di più, tu dai alla sua prole; » (Giovanni Pascoli, Il castagno)

Ed è entrata anche nella lingua colloquiale in alcuni modi di dire come “togliere le castagne dal fuoco” che risalirebbe addirittura ad una favola di LaFontaine.

Ma il ruolo più interessante lo interpreta nelle leggende di cui è protagonista, tra cui la più conosciuta è sicuramente quella legata all’albero di castagno più longevo e antico d’Europa, e ubicato nel Parco dell’Etna, nel territorio comunale di Sant’Alfio: il Castagno dai Cento Cavalli.

Alcuni botanici gli attribuiscono circa 4000 anni di vita il che ne farebbe, con molta probabilità l’essere vivente più vecchio d’Europa. La sua circonferenza è di ventidue metri per un’altezza di venticinque e una circonferenza di cinquanta metri. Narra la storia che la regina Giovanna I d’Aragona sorpresa da un temporale durante una battuta di caccia, vi abbia trovato rifugio da un temporale con i cento cavalieri della sua scorta.

Leggende a parte il rapporto dell’uomo con il castagno e il suo frutto rappresenta un magnifico sodalizio fra uomo e terra, e per quasta ragione va protetto e conservato con maggiore cura e attenzione possibile.

Scheda nutrizionale

Prof Michael Meyers. Oncologo, Nutrizionista Clinico

Con 245 calorie per ogni 100 grammi, le castagne sono un’ ottima fonte di Vitamina C, Rame, Manganesio e alcune vitamine del complesso B, tali come la Riboflavina, la Niacina, Tiamina, acido folico e vitamina B6.

Contrariamente ad altri tipi di frutta da guscio, le castagne contengono pochi grassi e, invece di essere altamente proteiche, sono composte in più grande parte di amidi (carboidrati). In poche parole, nutrizionalmente parlando, sono più comparabili alle patate, al pane o al mais, che alle noci, mandorle o nocciole.

Per il loro gran contenuto di fibre e di complesso vitaminico del gruppo B, il loro consumo ha un effetto benefico sul livello di colesterolo cattivo e sulla prevenzione di malattie cardiovascolari e di alcuni tipi di cancro.

 

Testo di Ilaria Talimani

Scheda tecnica del Prof Michael Meyers. Oncologo, Nutrizionista Clinico

Foto Fausta Lavagna

Fonti

www.taccuinistorici.it

www.eurosalus.com

www.itspoleto.gov.it

www.tigulliovino.it

https://castagneitaliane.blogspot.it

Le castagne tra tradizione e leggenda – Marina De Blasis

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