Le prime documentazioni riguardo l’uso dei funghi come alimento o come medicina non risalgono oltre il V° secolo A.C.
Di questo tempo è Ippocrate, medico greco che sfruttò le presunte virtù terapeutiche di certi funghi, poi venne Teofrasto, filosofo e naturalista greco del IV° secolo A.C. succeduto ad Aristotele come maestro del Liceo di Atene a fare oggetto di indagini anche i funghi, e ancora Plinio il Vecchio, uomo d’arme e scrittore latino del I° secolo ci fa sapere che i funghi si sviluppano dove il terreno è ricco d’acqua, che la vita media dei funghi si aggira intorno a una settimana e che i tartufi vivono anche fino a un anno e in più detta le norme per distinguere quelli velenosi. Sempre nel I° secolo Dioscoride, medico greco dell’Asia proconsolare lasciò scritto che i funghi venivano usati soprattutto come condimento degli alimenti in quantità rilevante e che anche quelli più buoni facevano male pertanto consigliava come rimediare ad una indigestione da funghi.
Per avere qualche altra notizia sui funghi bisogna attendere fino alla comparsa di Avicenna, (980 – 1036) aristotelico persiano, filosofo e naturalista; poi nella schiera di coloro che si occuparono di funghi si inserisce Sant’Alberto detto Magno, di Colonia, anch’egli filosofo e naturalista, morto nel 1280. Nel Rinascimento ci si interessa dell’argomento con risultati piuttosto modesti e fu Andrea Cesalpino di Arezzo (1519-1603) a gettare le prime basi per una seria classificazione dei funghi che egli considerò, giustamente, come frutti di altrettante piante. Fino ad arrivare in tempi più recenti ai micologi italiani moderni come Pier Andrea Saccardo che scrisse una ricchissima Antologia di tutti i funghi finora conosciuti, e come Giacomo Bresadola, diligentissimo osservatore e scopritore di funghi e autore di una Iconografia Micologica in 24 volumi.
Ed è quindi grazie ai loro studi che abbiamo sviluppato una minima cultura micologica. Nel nostro Paese siamo fortunati, le zone di raccolta più rinomate sono alpine e appenniniche disseminate lungo tutta la dorsale montuosa e fin nelle isole, a conferma di una buona distribuzione micelica.
Raccolti in montagna o nelle zone collinari, i funghi rappresentano il legame stretto fra il territorio e la città, la distanza delle prime case abitate dai boschi. Indicatori del calendario, di un ambiente pulito, di un amore per i valori gustativi e olfattivi, sono una sentinella dell’ambiente, segnano il tempo e le stagioni, evocano l’autunno e richiedono, per gustarli, una particolare sensibilità. Nella cucina italiana forniscono profumi ed aromi con cui costruire i sapori, ma solo certe specie sono richieste e le ragioni sono molteplici, alcune antiche altre meno.
I funghi rinviano ad un aspetto importante della cucina, il rapporto fra risorse spontanee e valori gustativi, sono parte della natura non coltivabile e per questo provvidenziali come erano le bacche e le erbe. Non hanno funzione nutritiva, ipocalorici con un buon apporto di fosforo e potassio, godono di una altissima stima e oltre ai Porcini altre qualità sono altrettanto presenti nei piatti italiani.
Ne vediamo alcune fra le più conosciute ed apprezzate:
Ovolo buono (Amanita Cesarea) Cresce nelle radure dei boschi soprattutto di castagni e querce, la si trova anche, in dimensioni più modeste, sotto i pini in montagna, ha carne soda e bianca, gialla sotto la cuticola del cappello e ha un profumo tenue e delicato. Eccellente sia cotto che crudo e si può conservare sott’olio o essiccato.
Gallinaccio (Cantharellus cibarius) gialletto, finferlo, Predilige i boschi di abeti, dove cresce a gruppi tra il muschio, nel periodo compreso tra la primavera e l’autunno. Insieme al porcino è uno dei funghi più amati e molto versatile, è perfetto in mille ricette. La sua carne ha un caratteristico profumo di frutta fresca, come prugna, pesca o albicocca. Il sapore è dolciastro. Il colore del suo cappello è giallo, più o meno intenso.
Chiodino (Armillaria mellea) buona famigliola. Cresce d’autunno, a cespi, sui tronchi di alberi vivi che danneggia, ma anche su ceppi e radici morte, a volte tra l’erba che occulta del legno in sfacelo, ora solinga, ora a ceppi. Ha carne soda nel cappello, fibrosa al gambo. Commestibile se cotto, un perfetto accompagnamento per carni in umido oppure trifolato.
Mazza di tamburo (Lepiota Procera) Parasole. Cresce a volte sin dalla primavera su terreno anche sassoso, nelle radure solatìe dei boschi sia di latifoglie che misti, ma di preferenza nei prati e fra le stoppie dei campi di cereali. Ha carne molle nel cappello, fibrosa quella del gambo, bianca che all’aria si fa rosea. Buon profumo e sapore di nocciola. Commestibile eccellente, degli esemplari maturi si usa solo il cappello, ottimo impanato a cotoletta.
Morchella o Spugnola. Fungo gregario, cresce in primavera sia nei boschi di conifere che di latifoglie su terreni sabbiosi o ghiaiosi. Ha carne dall’aspetto e consistenza della cera, cava all’interno con cappello globulare che si tappezza di alveoli. Commestibile e prelibato in alcune qualità, si presta ad essere essiccato.
“Fongi freschi e salat”i
“Piglia i tuoi fongi freschi e tagliali in quarti, se non grandi, e mettili a bogliere in acqua con mollena di pane e aglio per cavargli il veleno. Poi falli scolare bene dall’acqua e ponli in un vaso con un poco di olio buono, e sale, e prassomeli, e menta molto ben pesta; e soffriggi ogni cosa pianamente. Poi piglia acqua e agresto ch’abbia dello acetoso e mettine nei detti fongi, tanto che ti paia ch’abbiano del chiaro e dello spesso. Poi falli bollire bene per mezz’ora e ponigli dentro pevere, cannella, gengevro, sale e zafferano, tanto che ti paia che stian bene, e un poco di miele o zuccaro, tanto ch’abbiano un poco del tenero. E metti dette robe quando bogliono e staranno bene.”
Da: “ Banchetti compositioni di vivande, et apparecchio generale”
Christofaro di Messisbugo Ferrara, 1549.
Testo e foto ovoli Giuliana Fabris
Foto Silvia Coletto
1 Comments
Bruna Cipriani
29 Settembre 2017 at 10:10
Bello ed interessante articolo ed altrettanto belle le foto, complimenti!
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