Breve storia delle Patate
Ci perdoneranno i cultori del Made in Italy, ma la patata è una faccenda internazionale. Che parte dalle Americhe, conquista i Conquistadores, suscita ripugnanza in Europa e deve il suo sdoganamento nella dieta a due personaggi che italiani non sono, il prussiano Federico II e il francese Antoine Parmentier, i cui destini si intrecciano,ancor prima che nella passione per questo tubero, in una lunga militanza nelle file dell’esercito, intorno alla metà del XVIII secolo. La storia è arcinota e non è il caso di ricordarla qui, se non per sommi capi: il primo spostò la patata dai recinti dei maiali al rancio degli eserciti, il secondo le fece fare un salto di qualità, schiudendole nientemeno che le porte di Versailles. Sebbene fosse stata importata da qualche secolo, infatti, la patata era cosa che incuteva ancora timore: a scelta, poteva essere velenosa o provocare la lebbra o innescare imbarazzanti flatulenze- e se avete letto Suskind, non è il caso che mi soffermi su quanto imbarazzanti potessero essere, in una società pervasa dagli odori come quella francese del XVIII secolo. Più in generale, la si considerava un cibo da maiali, perchè pastosa, insipida, pesante. Persino i poveri la disdegnavano: e chissà che la storia non avesse preso una piega diversa, se al grido del popolo affamato, Maria Antonietta non avesse proposto la patata, come alternativa al pane, anzichè la famigerata brioche.
Parmentier mostra le patate a Luigi XVI, dipinto del 1886
Comunque sia, in questi anni non se lo filava nessuno, questo tubero dalle mille risorse: almeno fino a quando arrivarono Federico ed Antoine, pronti a combattere una dura battaglia, a favore della patata. Il primo convinse i soldati ricorrendo ad uno stratagemma che la dice lunga sulle sue abilità politiche. Gettò una manciata di semi di patate nel suo orto (altro che la Michelle…), mise a sorveglianza la guardia reale e diffuse ad arte la diceria che in quel punto il re coltivasse gioielli. I ladri arrivarono nel giro di tre secondi netti, ma se questo era lo scotto da pagare per veder spuntare il sorriso sui volti dei soldati, ne valeva la pena.
Analogamente, Parmentier comprese che l’unico modo per sdoganare la patata dalla sua pessima fama, fosse farla apprezzare nei quartieri alti: e siccome il giovane era un tipo deciso, puntò subito al re. La storia favoleggia di petti rigogliosi delle dame di corte adornati di fiori di patate, ad imitazione di Maria Antonietta e si diffonde sull’eccitazione che provocavano banchetti allestiti attorno a menu monotematici, in cui il tubero veniva declinato in tutte le forme, dalle zuppe, alle insalate, ai purè, persino ai digestivi, tutti a base di patate. Da lì, non ce ne fu più per nessuno: o meglio, ce ne fu per tutti, con una operazione democratica ante litteram che finì per unire ricchi e poveri, nobili, clero, borghesia e proletariato- tutti fratelli, nel nome della patata. Alla sua morte, Luigi XVI lo celebrò come l’inventore del pane dei poveri. Dopodichè, gli trovò posto al Père Lachase, a pochi metri dalla tomba di Jim Morrison. Che non lo si poteva sapere, allora, che lo avrebbero messo proprio lì: però, la sfiga ci vede benissimo, anche nel futuro: tant’è che oggi non se lo fila nessuno Tutti a ciondolare sulle note di camonbebilaitmaifaiar- e a passar dritti davanti alla sua lapide, magari con un cartoccio di patatine fritte in mano. In compenso, viene degnamente celebrato a tavola, con un sacco di preparazioni che portano il suo nome.
In Italia, abbiamo avuto padre Dondero, un sacerdote dell’entroterra ligure che organizzava eventi elettrizzanti, in cui mangiava patate davanti alla folla,per dimostrare che,dopo,stava benissimo,oltre ad una serie di episodi altrettanto coloriti che,dai e dai,riuscirono finalmente a rimuovere una secolare reticenza a cui corrispose,nel corso degli anni,una sempre maggiore affezione. La patata è oggi alla base di migliaia di ricette,in tutto il mondo ed è un pilastro della tradizione italiana, alleata fedele tanto del popolo quanto dei cuochi di corte, delle casalinghe disperate e degli chef ispirati che ogni giorno tributano omaggio a questo umile tubero portandolo in tavola nelle forme più diverse.
Testo Alessandra Gennaro
Foto Fausta Lavagna