Chiudete gli occhi e per un attimo, sforzatevi di tornare bambini, provate a ricordare l’emozione che si prova nel trovare, dopo aver tanto cercato, un tesoro nascosto. Le mani che aprono, guidate dalla curiosità, uno scrigno e dentro la meraviglia: non denaro, nè gioielli ma tanti piccoli frutti, dai colori, dalle forme, dai sapori sconosciuti eppure misteriosamente familiari.
Sono i frutti antichi e sono preziosi perché raccontano del nostro passato, raccontano di noi e dell’identità della nostra terra. I frutti antichi sono un patrimonio, per fortuna, non del tutto estinto; sono quei frutti che fino a pochi decenni fa erano ancora comuni e che nell’arco degli ultimi quarant’anni sono stati dimenticati, anche a fronte dell’affermazione recente e incalzante della frutticoltura moderna industriale. Questi tesori inestimabili per molto tempo, in un passato non troppo distante da noi, hanno rappresentato un eccezionale bacino di cibo a bassissimo costo crescendo nelle campagne e nei boschi in maniera per lo più naturale.
Pensiamo al bellissimo albero della Sorba, dei suoi frutti, le Sorbole , già gli antichi romani ne cantavano la bontà e le proprietà benefiche nel 400 a.C. Nella cultura popolare europea, le sue origini sono infatti da ricercare nell’Europa meridionale, si sosteneva addirittura che la Sorba servisse a a tenere lontano dalle case gli spiriti maligni. Il suo gusto, raggiunto il picco massimo della maturazione del frutto, è unico e , come molti dei frutti antichi trova la sua massima espressione come conserva o trasformato in sidro.
Oppure cerchiamo nella nostra memoria il Corbezzolo, frutto dalle tonalità dell’arancio e del rosso acceso, figlio di un arbusto sempre verde dai fiori bianchi che ricordano le campanelle.
Ho la fortuna di conoscere il loro sapore; ricordo quella freschezza che provavo addentandoli quando mio padre li coglieva direttamente dalla pianta per me. Anche loro erano conosciuti fin dai tempi dei Latini che li credevano portatori di poteri magici. Virgilio in una testimonianza presente nell’Eneide ci svela che sulle tombe dei defunti si usava poggiare dei ramoscelli di corbezzolo come segno di stima nei confronti del defunto.
Veniva usato per fare decotti ed infusi ma anche per produrre un ottimo aceto aromatizzato.
Che dire poi di quei piccoli frutti ovali, le Corniole, che mutano nel colore, passando tra variazioni di giallo e verde e sfumature di rosso e virando , definitivamente, nel color vinaccia al momento della maturazione.
Sono frutti zuccherini ma dalle note acidule e nella cultura romagnola sono protagonisti di confetture, aceti, gelatine e anche dolci. La leggenda vuole che con il legno, particolarmente duro e resistente dell’albero del Corniolo, siano stati costruiti tanto il cavallo di Troia quanto il giavellotto con cui Romolo delimitò i confini romani.
Così come le Pere Volpine, piccole pere leggermente schiacciate, la loro buccia è verde e screziata di ruggine, la loro patria è la Romagna. In passato crescevano in modo spontaneo e devono il loro nome al fatto di essere molto apprezzate dalle volpi. La pera volpina è un frutto povero di calorie e ricco di vitamine e fibre, viene gustata soprattutto sotto forma di conserva o cotta lentamente nel vino con le spezie. Personalmente in questa versione la trovo deliziosa. Tradizionalmente l’albero del Pero Volpino veniva anche utilizzato per sostenere le vigne e non è poi così raro trovarne ancora nei vigneti.
Percorrendo l’Italia da capo a piedi è possibile incontrare una vastità e una varietà di questi frutti inimmaginabili, ciascuno di essi ha una storia affascinate, racconta una biodiversità da salvaguardare, racconta la vita di un territorio, rappresenta una testimonianza storica ed un patrimonio regionale.
E rappresenta anche un tassello importante nel progetto di salvaguardia della agrobiodiversità del nostro paese; per la valorizzazione delle realtà agricole locali e per le attività di ricerca legate al mondo agroalimentare.
Per queste ragioni sono così importanti tutte le azioni fatte con il fine proteggere e apprezzare fino in fondo il preziosissimo patrimonio di biodiversità e tradizione che si esprime attraverso questi frutti dimenticati.
Ce lo insegna bene la sfida intrapresa dalla Banca del Germoplasma, in merito ai frutti dimenticati e alla biodiversità recuperate, di riuscire, dopo accurati studi condotti in zone diverse sul suolo italiano, a far produrre alcune della varietà tipiche di determinati territori e adatte a specifiche condizioni ambientali.
Diventa così evidente quanto siano importanti iniziative come quella promossa dal comune di Casola Valsenio che ogni anno, in Ottobre, organizza la “Festa dei frutti dimenticati” celebrandoli, mostrandoli, portandone le qualità alla luce e dando un contributo importante per il recupero delle piante da frutto. I visitatori che accorrono per prendere parte a questo evento sono davvero moltissimi e ciò lascia aperta la speranza, che in futuro, questi tesori della nostra terra vengano nuovamente “scoperti” e apprezzati come giustamente meritano.
Per arricchire ed approfondire ecco cosa ci ha raccontato la Dott.ssa Fabiana Fiorani, responsabile del vivaio “La Piana” sede della Banca del Germoplasma della Garfagnana
Nella foto iniziale troviamo: Pere Mastantuono – Corniole – Melo Morto – Melo Rosino tondo – Azzeruoli – Fico Dattato – Susina dei Malati – Pero Strozzino
Alcune di questi frutti saranno i protagonisti delle ricette della comunity
Michela Gomiero – Tortine semintegrali di Azzeruoli
Anna Calabrese – Pere mastantuono ripiene
Anna Laura Mattesini – Pesche tabacchiere e cioccolato in un dolce soffice
Testo di Francesca Geloso