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Nu sartù turzuto e àveto,
ova toste e purpettine,
cu ‘e pesielle e chin’ ‘e provola,
parmigiano e fegatine,

  …
rrobb”e Napule, gnorsì.

 ….
Si cucine cumme vogl”i’

                                                                                                                Eduardo De Filippo

Tra riso e popolo napoletano non c’è mai stato molto feeling.

Eppure le prime coltivazioni di riso in Italia sono proprio nel regno di Napoli intorno al 1500. Le piantine portate dagli aragonesi attecchirono, ma quei chicchi così bianchicci e insapori non conquistarono il palato nel popolo napoletano, fino ad allora mangiafoglia  e destinato da li a poco a divenire mangiamaccheroni, abituato a sapori forti e cibi consistenti.

Nutriente si, ma leggero, s’sciogl”a cuorp‘, insipdo, sciapito, come poteva soddisfare i robusti ed esigenti appetiti del popolo napoletano?

Il riso era tutt’al più uno sciacquapanza buono per gli stomaci deboli, una medicina. La Scuola Medica Salernitana prescriveva infatti il riso, in bianco o il suo brodo,  come cura per  le affezioni intestinali. L’associazione tra rimedio e malattia non  ha di certo  favorito il rapporto tra napoletani e riso.

Poi arrivarono i Monsù, cuochi chiamati dalla Francia per ingentilire le cucine dell’aristocrazia partenopea. Come in altre corti europee nella Napoli di Ferdinando I di Borbone si parlava francese, per come si poteva, un vezzo che aveva portato Maria Carolina dall’Austria. Quella parlata napoletana era così plebea e il francese così musicale.

A tavola però si parlava  sempre napoletano, il buon consorte aveva l’abitudine di consumare tutti i cibi tipici della cucina popolare napoletana, sapori troppo forti e rozzi per il palato della Regina abituata al gusto più delicato della cucina  francese. La Regina volle a corte i cuochi francesi, cosi nelle cucine di palazzo e, di conseguenza e per imitazione, nelle cucine di tutta l’aristocrazia napoletana arrivarono cuochi francesi, i Monsieur, napoletanizzato in un familiare Monsù.

I monsù dovettero faticare non poco per portare la cucina francese sulle tavole partenopee adattando le ricette ai gusti dei commensali napoletani e ai prodotti del territorio, e, più spesso, si trovarono a cucinare ricette napoletane, arricchendole a gusto francese. Ne scaturì una cucina nuova, solo nell’espressione francese ma nella sostanza napoletanissima.

Da questo connubio tra estro francese e cultura culinaria napoletana sono nati monumenti della cucina partenopea, gattò, ragù, babà, crocchè, timballi e sartù e altri trionfali capolavori. Il riso espulso da tempo dalla cucina napoletana e relegato a medicina insipida e sgradevole, ritorna a Napoli dalla Francia.

I cuochi francesi che utilizzavano comunemente il riso in svariate e raffinate preparazioni proposero ai nuovi padroni di casa piatti a base di riso, ma gli stomaci dell’aristocrazia napoletana si opposero “e che stiamo malati, ci vuole lo sciacquapanza … il riso mangiatelo tu monsù”.

Bisognava camuffarlo, nasconderlo, confonderlo in un tripudio di prelibati alimenti familiari e riconoscibilissimi ai palati partenopei, il sugo di pomodoro, la pummarola che da colore e rallegra, polpettine, piselli, funghi, melenzane, accomodati su una base di riso, che, nel tempo, diventò un croccante involucro, in una presentazione trionfale e scenografica come solo un cuoco francese sa fare, da mangiare con gli occhi, un surtout.

Da  surtout, sopra a tutto,  camuffamento,  ironicamente definito in un divertissement  tutto francese e poco accessibile alla nobiltà napoletana, a sartù è un attimo, et voilà, le jeux sont fait.

Sartù

Per 6 persone

Per il riso

600 g di riso Carnaroli

1 grande mestolo di ragù di pomodoro

6 uova

70 g di parmigiano grattugiato

Pangrattato q.b.

Burro per ungere lo stampo

 

Per il ragù di pomodoro

300 g di costine di maiale

300 g di salsiccia fresca

300 g di ritagli di vitello

2 cipolle medie

2 l di buona passata di pomodoro

1 bicchiere di vino rosso

Olio extravergine d’oliva

Sale

Qualche foglia di basilico

 

Per le polpettine

150 g di carne di maiale macinata

1 fetta di pane vecchio

Latte

1 tuorlo d’uovo

Prezzemolo tritato

½ spicchio d’aglio

Farina

Sale, pepe

Olio extravergine d’oliva

 

Per il ripieno

300 g di piselli freschi sgranati

1 cipollotto

20 g di funghi porcini secchi

1 spicchio d’aglio

60 g di fegatini di pollo

1 bicchierino di brandy

200 g di fiordilatte

Olio extravergine d’oliva

Versate un  paio di cucchiai di olio extravergine d’oliva in una pentola e rosolatevi le costine di maiale, la carne di vitello e la salsiccia sbriciolata. Aggiungete la cipolla tagliata grossolanamente, rosolatela e sfumate con il vino. Quando l’alcol è evaporato aggiungete la passata di pomodoro, salate leggermente e fate riprendere il bollore. A questo punto abbassate la fiamma, mettete il coperchio e fate cuocere a fuoco lento ma costante per circa 3 ore.

Deve pippiare …

Profumatelo con le foglie di basilico spezzettato con le mani

In una ciotola mettete la carne macinata, il pane imbevuto nel latte e strizzato bene, il prezzemolo e l’aglio tritati finemente, il tuorlo, sale e pepe. Impastate bene e formate tante polpettine non più grandi di una nocciola. Infarinatele e friggetele velocemente in un tegame con l’olio extravergine. Disponetele sul piatto coperto da un foglio di carta da cucina.

Mettete i  funghi secchi in una ciotola con acqua tiepida e lasciateli ammorbidire. Mettete un paio di cucchiai di olio extravergine d’oliva in un tegame e cuocete i piselli con il cipollotto affettato sottilmente e l’aglio tagliato finemente per 5 minuti. Aggiungete i funghi ammorbiditi,strizzati e tagliati a strisce e insaporire per un paio di minuti. Spegnete la fiamma, salate e pepate.

Fate saltare in un’altra padella con poco olio i fegatini e sfumateli con il brandy. Cuoceteli per qualche minuto. Tagliateli a pezzetti. Tagliate il fiordilatte a cubetti e lasciateli sgocciolare se serve.

In una pentola versate 1,5 l abbondante di acqua e aggiungetevi un mestolo di ragù di pomodoro. Portate a abolizione, salate leggermente e cuocetevi il riso fino a ¾. Mescolate di tanto in tanto e se serve aggiungete altra acqua. Spegnete, mescolate bene e lasciate intiepidire. Condite con un paio di cucchiai di olio e il parmigiano, mescolate e aggiungete uno alla volta 6 uova. Mescolate molto bene.

Volendo, potete incorporare nel riso 1/3 del condimento con i piselli e i funghi.

Accendete il  forno a 180°.

Imburrate accuratamente uno stampo da sartù largo 20cm e alto 12 e spolveratelo ancora più accuratamente con il pangrattato.

Coprite il fondo dello stampo con uno strato di riso alto un dito. Ricordatevi di livellare bene con il dorso del cucchiaio creando uno strato di riso di 1cm anche sulla parete dello stampo, sempre tamponando con il cucchiaio che, se serve, potete anche bagnare. Arrivate a metà dell’altezza dello stampo. Riempite la cavità con la metà del condimento con i piselli e i funghi, la metà dei fegatini e delle polpettine. Coprite con i dadini di mozzarella e versateci qualche cucchiaiata di ragù di pomodoro. Coprite con un altro strato di riso alto sempre  un dito e rivestite le pareti fino all’orlo. Versate il rimanente condimento, i fegatini, le polpettine, la mozzarella e altro sugo. Coprite con lo strato di riso alto sempre 1 cm. Livellate bene, cospargete di pangrattato e mettete di qua e di là qualche fiocchetto di burro oppure un filino d’olio oppure,meglio ancora, qualche fiocco dello strutto.

Infornate e cuocete per 30-35 minuti. Capirete che è cotto quando si vedrà chiaramente che i bordi si sono staccati dalle pareti.

Lasciate riposare almeno 15-20 minuti, fate un bel respiro e sformate sul piatto da portata.

Servite con il ragù di pomodoro caldo a parte.

 

Testo di Anna Calabrese

Foto iniziale di Tamara Giorgetti

Ricetta dello chef A. Iaccarino preparata e fotografata da Marina Bogdonovic 

 

Testi citati:

Eduardo De Filippo, Si cucine cumme vogli’ ‘i, consultato

Fonti:

G. De Filippis e S.Argenziano: I napoletani da mangiafoglia a mangiamaccheroni

Origini del Sartù napoletano

Monsù rivoluzionarono l’antica arte della cucina napoletana

Menù dei Monsù

 

1 Comments

  • Giorgia

    19 Settembre 2017 at 11:24

    Il sartù rimane nella mia lista delle ricette da provare assolutamente! La stagione in arrivo sicuramente mi assisterà!
    Grazie per il bell’articolo, da leggere tutto d’un fiato.

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