La bellissima Valle del Ticino, escludendo la parte svizzera, si sviluppa tra il Piemonte e la Lombardia e prende il nome dal fiume Ticino che la attraversa per 110 km: per la parte lombarda, la valle è tutelata dal Parco lombardo della Valle del Ticino mentre per quella piemontese dal Parco naturale del Ticino.
Grazie ad un ricco e variegato insieme di ecosistemi, in molti casi ben conservati, nel Parco è presente un patrimonio di biodiversità ricchissimo che conta di svariate e diversificate specie faunistiche e floreali che gli hanno fatto ottenere nel 2002 il riconoscimento di Riserva della Biosfera nell’ambito del Programma Man and Biosphere (MAB) dell’Unesco.
Il suo territorio è occupato per quasi il 55 % da aree agricole, il 22% da foreste, il 20 % aree urbanizzate e il 3% reticolo idrografico. La valle è andata nel tempo mutando attraverso un complesso reticolo di derivazioni e di canali realizzati sia a scopo irriguo, sia per l’utilizzo da parte degli impianti idroelettrici.
Una delle principali attività agricole presenti sul territorio è la risicultura: tale coltivazione in Italia è composta da una filiera agroindustriale che coinvolge oltre 4 mila aziende agricole e 95 industrie di trasformazione (riserie) a forte connotazione territoriale. Il 90 % delle superfici investite e il 74% delle riserie si trovano nei 5 distretti produttivi di Pavia, Vercelli, Novara, Milano, Alessandria.
Fu proprio da queste zone, in particolare dalla Lomellina, che la coltivazione del riso iniziò a diffondersi in Italia oltre mezzo millennio fa. Furono i duchi di Milano che, lungimiranti, sperimentarono la coltivazione nelle terre paludose e praticamente improduttive tra il Po e il Ticino. Da allora, un’infinità di risi e risotti furono preparati con tutto ciò che la campagna metteva a disposizione, dagli asparagi alle foglie del papavero, dalle patate ai pomodori, dalle rane ai pesci d’acqua dolce: gli avanzi davano vita a nuovi piatti con la propria dignità.
Fino al 1800 i semi adoperati in Italia provenivano da incroci spontanei; è presumibile che intorno al 1884 venne importato il seme Giappino dal quale sono derivate tutte le varietà presenti oggi sul mercato: Comune o Originario( Originario e Balilla), Semifino (Vialone nano, Maratelli, Marchetti), Fine (Ribe e Sant’Andrea), Superfine(Arborio, Baldo, Roma, Carnaroli).
Come dicevamo, nella valle del Ticino ancora oggi numerose aziende agricole coltivano e lavorano il riso; accanto alle tradizionali coltivazioni estensive, esistono esempi interessanti per storia, ricerca sul prodotto e attenzione alla biodiversità.
Cascine Orsine, collocate fra Bereguardo ed il fiume, sono dedite ad una coltivazione bidinamica del riso. La storia di questa produzione nasce da una triste storia: è stata un dura malattia a portare Giulia Maria Crespi, fondatrice di Cascine Orsine, in una clinica vicino a Basilea dove il cancro veniva curato con terapie principalmente basate sull’alimentazione.
Studiando i criteri base di una sana alimentazione e si appassionò all’agricoltura biodinamica. Dopo studi di agraria, decise che i terreni di Cascine Orsine dovevano essere trasformati radicalmente: il processo di riconversione biodinamico totale non fu semplice poiché il terreno era stato coltivato da troppo tempo in modo irrazionale. Ci fu impegno nel trovare persone ed energie che credessero al progetto. Ma, alla fine, esso venne realizzato e Cascine Orsine è una realtà a totale produzione biodinamica dal 1976.
Un esempio interessante di interazione fruttosa fra uomo e natura è offerto da Cascina Bosco: Ilena e Roberto- antropologa lei, chinesiologo e contadino lui- hanno scelto di vivere in mezzo alle risaie, lontano dalla città, nella cascina ottocentesca che era dei nonni e da loro restaurata secondo i criteri della bioedilizia usando terra, paglia e legno. Una scelta che ha l’obiettivo di mantenere il contatto con la natura, vivendo e lavorando in sinergia con l’ambiente ed i suoi equilibri, limitando l’inquinamento atmosferico e delle acque, preservando la biodiversità. Ileana e Roberto si occupano della coltivazione del riso in modo naturale, senza usare fertilizzanti, erbicidi, antiparassitari e fungicidi. Utilizzano sovesci, rotazioni e false semine per rendere fertile il suolo e preservarne la biodiversità; la semina avviene a spaglio senza lavorazione meccanica del terreno. L’essicazione del riso viene fatta sfruttando il calore del sole o a bassa temperatura, con procedimenti lenti e poco aggressivi che mantengono le proprietà organolettiche dei chicchi.
Nella panoramica delle aziende più interessanti non può mancare La Riserva San Massimo ove si produce riso Carnaroli 100%. Attualmente in Italia con il nome Carnaroli possono essere, e sono vendute, anche altre varietà di riso molto diffuse (Roma, Arborio, Baldo) che appartengono alla stessa categoria dei risi Superfini ma sono meno pregiate e non provengono necessariamente dalla zona dedicata al Carnaroli, il triangolo Vercelli-Novara- Pavia. La Riserva San Massimo confeziona riso Carnaroli al 100% senza aggiungerne nessun’altra varietà. La terra coltivata a riso è un terzo del terreno della Riserva Naturale: il resto della tenuta è ricca di boschi, di frutteti, di prati in cui vivono daini, caprioli ed altre specie di mammiferi, anfibi, volatili e pesci che contribuiscono alla ricchezza e alla biodiversità della Riserva stessa. L’acqua utilizzata per coltivare il riso proviene da 44 fontanili presenti nella riserva, riconosciuta dall’Unione Europea come sito di interesse comunitario a protezione speciale dal 2004, grazie all’eccezionale livello di biodiversità presente.
Nella nostra carrellata fra i risi del Parco del Ticino vale la pena di ricordare il riso Nero Otello della Tenuta San Giovanni di Olevano . Il nero di Lomellina è nato da una selezione varietale 15 anni fa: nel 1998 l’agronomo genetista Eugenio Gentinetta andò in Cina e in un mercato di Shangai prese una manciata di riso semi-integrale nero, sfuso, che portò in Italia affascinato da questo pericarpo nero. Da qualche migliaia di semi nacquero due sole piante che diedero origine a due pannocchie di 80 semi ciascuna: da questi 160 semi iniziò la selezione varietale. Prese il via, così, una fase durata 8 anni in cui il chicco è stato incrociato con la varietà Carnaroli per fissare alcuni caratteri desiderati, quali dimensione del chicco, contenuto di amido, resistenza alle malattie e caratteristiche organolettiche: oggi il Riso Nero di Lomellina integrale e biologico è un prodotto di altissima qualità.
Per chiudere la nostra passeggiata abbandoniamo la Lombardia e , confinando di sconfiniamo di una quindicina di chilometri nel vicino Piemonte, incontriamo Cascina Canta dove viene prodotto il Maratelli. Il riso Maratelli è una varietà che è stata individuata in campo da Mario Maratelli nel 1914, selezionando una spiga che a suo avviso era diversa dalle altre per colore e struttura. Negli anni ’70 la popolarità di Maratelli scese notevolmente, a favore di varietà nuove e più produttive, fino a scomparire quasi del tutto nonostante che fosse una delle varietà più antiche di riso italiano, vocata soprattutto alla preparazione dei risotti nella zona di Novara e Vercelli.
Fortunatamente la varietà non sparì del tutto, anzi nel 2013, venne iscritta nel registro delle varietà storiche e Cascina Canta, attualmente unico produttore, è diventata conservatrice del seme.
Il nostro vagare nel Parco del Ticino alla scoperta del suo riso potrebbe proseguire a lungo: abbiamo qui solo voluto dare degli spunti per ricordarci la bellezza e la ricchezza del territorio che ci circonda, una ricchezza fatta anche di produttori attenti all’ambiente, curiosi nello sperimentare e portare avanti tecniche di coltivazione ecosostenibili, una bellezza, ed una bontà, data anche da prodotti spesso sconosciuti -non entrando nella grande distribuzione- ma su cui vale la pena di fermare l’attenzione e, perché no, far entrare nella nostra cucina.
Foto di copertina: Riserva San Massimo
Foto di Acqua e Menta
Testi di Antonella Eberlin
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