In una notte stellata di fine estate metti sul fuoco un grande paiolo di rame. Versaci dentro il mosto d’uva (il mosto è solo di uva, il resto è folclore), portalo a bollire, abbassa poi la fiamma e fallo sobbollire mescolando spesso e schiumando in continuazione.
Fallo finche (non ti cascano le braccia e non svieni dalla stanchezza) il liquido non si sarà ridotto a un terzo e la consistenza non sarà diventata quella dell’olio. Per mescolare usa un mestolo di legno sufficientemente lungo per non scottarti ma dai retta anche ai vecchi contadini che nel paiolo insieme al mosto mettono anche una mezza dozzina di noci con il guscio che rivoltandosi nel liquido faranno sì che il mosto non si attacchi al fondo del paiolo. L’esperienza di vita eh. Ti chiederai: perché proprio di notte? Forse perché le notti di fine estate sono fresche al contrario delle giornate che sanno essere ancora molto calde e le api e le vespe non sono in attività ma soprattutto perché la notte è magica come sarà magico, dolce e profumato il mosto cotto che otterrai dopo sei, sette ma anche dieci ore di cottura. Potevi aromatizzarlo con i chiodi di garofano oppure con la scorza di arancia. Lo farai raffreddare e lo metterai nelle bottiglie per conservarlo nella dispensa e utilizzarlo durante l’inverno. Se ti trovi in Emilia Romagna si chiamerà sapa e verrà usata per impastare il ripieno dei tortelli dolci, intingere i biscotti, accompagnare un pezzo di parmigiano e una volta, per la gioia dei bambini rendere dolce un bicchiere di neve fresca. Si chiamerà così anche nelle Marche dove è la protagonista dei dolci invernali e natalizi mentre in Sardegna il suo nome è saba e viene utilizzata per fare il pan’ e saba. Se invece la strada ti porterà in Puglia troverai il ficotto che del mosto cotto è il cugino di primo grado ed è diverso perché nasce con gli ultimi fichi rimasti, quelli caduti per terra, ammaccati ma dolcissimi. Nello stesso paiolo ma sotto il cielo diverso vengono prima coperti con l’acqua e cotti, strizzati molto bene con un grande telo di lino o di cottone per raccogliere tutto il succo (“mosto di fichi”) che verrà successivamente cotto a lungo fino a diventare uno sciroppo densissimo.
Tantissimo lavoro per pochissimo prodotto: se ve ne regalano una bottiglia, sapa, vincotto o ficotto, non fa differenza, prendetelo come un gesto d’affetto profondo e fatene buon uso. Provate a intingervi la polenta, versatela sulla panna cotta e se vi viene il raffreddore o il mal di gola scioglietene un cucchiaio in un bicchiere di latte caldo. Quasi quasi da augurarsi…
In Sardegna la saba viene preparata anche di melagrana, di fichi d’india e di arance. Questa è una versione casalinga e potete adoperarla nei dolci come se fosse miele con un avvertimento però: crea dipendenza !
SABA DI ARANCE
1 litro di spremuta di arance filtrata
700 g di zucchero
Versate il succo d’arancia in una casseruola dal fondo spesso e aggiungete lo zucchero. Mescolate bene e accendete la fiamma a fuoco molto dolce. Fate cuocere per 1,5/2 ore senza mai alzare la fiamma, schiumando sempre e rimestando ogni tanto. La saba sarà pronta quando avrà preso il colore caramello /rame e la consistenza sarà quella del miele. Non deve cuocere troppo perché rischia di diventare amara e troppo densa. Comunque, una volta fredda tenderà ad addensarsi. Si conserva molto a lungo in vasetti di vetro ermetici.
Testo di Marina Bogdanovic
Ricetta e foto di Patrizia Molomo