Nonostante molti pensino che il consumo di pesce crudo sia un’abitudine tutta giapponese, in tutto il bacino mediterraneo ci sono antiche tradizioni che raccontano la storica golosità nei confronti di pesci e di molluschi consumati così, “nature”, oppure con una “cottura” dovuta al contatto con aromi acidi come aceto o succo di agrumi e non a variazioni termiche.
Il recente boom della moda della cucina giapponese insieme ad altri fattori, quali una maggior consapevolezza riguardo ai valori nutritivi ed una accresciuta attenzione verso l’aspetto “naturale” dell’alimentazione, hanno fatto aumentare esponenzialmente il consumo di pesce crudo negli ultimi anni anche in località lontane da queste consolidate tradizioni.
Ed un certo allarmismo sui rischi derivanti dal consumo di pesce non cotto ogni tanto confonde le idee. Ma qui proviamo a sbrogliare la matassa…
Parlando dell’Italia, ci sono leggi precise e controlli continui volti ad assicurare che il pesce, sia quello servito nei ristoranti che quello offerto in vendita in negozi e supermercati, sia fresco e sano. Meglio però conoscere qualche trucco di base in più… e dunque chiedere agli esperti quali accorgimenti adottare per consumare pesce crudo in modo sicuro.
Il dott. Renato Malandra, con cui ho avuto modo di parlare qualche tempo fa, Direttore Sanitario del Mercato Ittico di Milano, consiglia come prima cosa in assoluto di leggere bene l’etichetta del pesce che stiamo acquistando o chiederne notizia al rivenditore. La legge che stabilisce le norme sanitarie sui prodotti della pesca è in vigore in Italia dal 1992, completata poi da una normativa europea del 1994. Sono quindi più di vent’anni che viene insegnato a tutti gli operatori della filiera ittica (pescatori, allevatori, industrie di lavorazione e
confezionamento, distributori, ristoratori e negozianti) a tenere sotto controllo una serie di parametri fondamentali, che permettono di garantire l’igienicità e la freschezza del pesce che arriva sulla tavola del consumatore finale.
Privilegiare i prodotti di stagione e quelli provenienti da mari vicini, oltre che avvicinarci ad un consumo consapevole delle risorse ittiche, permette già di rivolgersi a filiere più corte e quindi più facilmente controllabili.
In questo periodo, ad esempio, via libera a squisitezze mediterranee come seppie e totani, alici e sgombri, sugarelli e saraghi, tonno alalunga e palamita…
Si sta parlando in questo caso di prodotti da pesca, a cui si affiancano ovviamente i pesci d’allevamento più spesso offerti dal mercato, che se non rispettano affatto i parametri di località e stagionalità, offrono se non altro un sistema di monitoraggio e prevenzione sanitaria costanti, che standardizzano (e a volte penalizzano) un po’ i gusti ma abbattono notevolmente già in partenza gli eventuali rischi.
In ogni caso, consiglia il dott. Malandra, quando acquistiamo del pesce da consumare crudo, che provenga da pesca o da allevamento, dobbiamo assicurarci che sia accompagnato dalla attestazione che ne indica il “trattamento di bonifica preventiva”. Ovvero l’abbattimento di temperatura prima della messa in vendita, principale provvedimento che
assicura una perfetta salubrità del pesce. In caso contrario va verificato se il pesce è comunque stato congelato, perché la “bonifica” è realizzabile anche in casa ma solo su pesce che non ha subito trattamenti simili.
Perché abbattere la temperatura? Perché, come ogni alimento crudo, anche il pesce presenta dei possibili problemi, risolvibili o portandone le carni
a temperatura di almeno di 60° fino nel centro per almeno un minuto (…cioè cuocendolo non “al sangue”, ovvero un pesce intero mediamente per una decina di minuti), oppure portandolo velocemente a temperature inferiori a -20°C in ogni parte della massa per almeno 24 ore, se lo si vuole poi consumare crudo.
L’anisakis, ad esempio, il parassita di cui si parla tanto, è un vermetto poco più spesso di un capello che vive nelle viscere di alcuni pesci, soprattutto quando superiori ai 18 cm, e che alla loro morte migra nelle carni.
Le specie soggette ad anisakis tra quelle più comunemente consumate in Italia sono: acciuga, aringa, lampuga, merluzzo, nasello, pagro, rana pescatrice, ricciola, sanpietro, sardina, pesce sciabola, sgombro, spada, suri, tonno e triglia.
In Giappone il pesce (quando non è venduto direttamente vivo) viene eviscerato entro pochi minuti dalla sua pesca e venduto massimo entro le 12 ore, quindi il problema non si presenta. In Europa invece, dove tempi e passaggi sono molto più lunghi ed il pesce è considerato “fresco” se conservato a 0° fino a tre giorni dalla pesca, per scongiurare il rischio anisakis la legge obbliga ad abbattere la temperatura del pescato, ovvero a congelarlo in tempi molto rapidi, in previsione di un possibile consumo a crudo. Analogo procedimento serve anche per altri parassiti meno “famosi” e per batteri di vario genere.
L’abbattimento può avvenire a cura del pescatore/allevatore, del grossista/trasportatore o anche a cura del ristoratore o rivenditore. In ogni caso il consumatore finale deve sapere, perché scritto sul menù del ristorante o su un cartello esposto nel negozio, se il pesce è stato bonificato “secondo il Regolamento CE 853/2004, allegato III, sezione VII, capitolo 3, lettera D, punto 3”. Dove manca questa indicazione evitiamo di consumare crudo il pesce in questione.
Dunque, grazie ai consigli del dott. Melandra, sappiamo come regolarci sia al ristorante sia in pescheria… ma che fare se acquistiamo del pesce fresco da preparare a casa che (come spesso capite nei supermercati che vogliono prevenire qualsiasi contestazione) riporta l’avvertenza “non consumare crudo” oppure se lo riceviamo direttamente dal pescatore ma
non lo possiamo eviscerare al momento? Abbattere in casa è possibile e sicuro?
L’abbattimento, ovvero il calo molto veloce della temperatura, ha il vantaggio di essere rapidissimo ed impedire dunque quasi istantaneamente la proliferazione di batteri e parassiti in tutto lo spessore della massa, mentre la congelazione domestica necessita di tempi decisamente più lunghi per arrivare al “cuore” del pesce. La legge stabilisce che la temperatura del pesce venga abbattuta secondo precisi parametri di rapporto tra pezzatura del prodotto, temperatura da raggiungere e durata dell’operazione, parametri che è impossibile riprodurre nei freezer domestici, anche quelli che hanno il cassettino del congelamento rapido. In casa perciò non si può parlare di “abbattittura”.
A meno che non si abbia a disposizione un abbattitore semi-professionale naturalmente, di quelli che da un paio di anni sono disponibili anche per il mercato domestico. Qui non si pone proprio il problema: si confeziona il pesce sottovuoto, lo si abbatte a – 20°C e lo si conserva in freezer per almeno 24 ore. Sempre e solo se il pesce non è stato prima congelato e scongelato.
Per i comuni mortali invece: se non abbiamo in casa un congelatore che arrivi almeno a -18°C conviene peccare di prudenza e rinunciare al crudo, nonosatante qualcuno ritenga accettabile anche un congelamento a -15°C. Se invece possediamo un frigorifero con congelatore “normale”, di quelli che prevede come temperatura media i -18°C il trucco sta nel
prolungare la sosta del pesce nel congelatore per dar modo al freddo di raggiungere con sicurezza ogni sua parte!
Disponendo di un congelatore domestico a -18°C un pesce intero eviscerato di media pezzatura, posto sottovuoto o accuratamente sigillato in busta di plastica da cui si aspira il più possibile l’aria, deve rimanere in congelatore almeno 96 ore. Per chi avesse congelatori più potenti si può prudenzialmente calcolare a -20°C una sosta di almeno 48 ore, a -30°C una sosta di 24 ore, a -40° di 18 ore.
Alcune tabelle riportano valori di sosta più brevi e probabilmente, considerando che a detta del dott. Malandra il mercato italiano è particolarmente ben controllato, si potrebbero anche accorciare leggermente i tempi, soprattutto per chi ha l’abitudine al consumo di pesce fresco e dunque al palato riconosce le modifiche organolettiche che subisce il pesce per una congelazione prolungata.
Dividere il pesce in porzioni più piccole (tranci, filetti, bocconi, ecc.) e congelarle separatamente permette eventualmente di abbreviare in proporzione la sosta in freezer fino anche a dimezzarla, ma lascia più superficie esposta al gelo quindi non previene le alterazioni al gusto e al tatto, che rischiano invece di emergere in modo più evidente. Non è dunque una via particolarmente consigliabile a meno che si abbia molta fretta… o poco palato.
Difficilmente però in Italia si consuma il pesce “nudo e crudo” senza alcun tipo di condimento od aromatizzazione, dunque preferiamo essere un pochino più prudenti e ovviare alla possibile perdita di perfezione in sapore e consistenza unendo al nostro pesce la fantasia di erbe, spezie, sali, olii, salse, marinature, affumicature, succhi, aceti e tutti gli infiniti abbinamenti che contraddistinguono le squisite tipicità della cucina all’italiana.
Testi a cura di Annalena De Bortoli
Bibliografia
Renato Malandra, “Il consumo di pesce crudo in Lombardia”, Atti del Convegno Le problematiche relative al consumo di pesce crudo, ASSL Milano 2006
Maria Rita Cremona, Antonio Ansaldo, “Pesce e Latte” in Quaderni della salute e della sicurezza, Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Varese, 2009
Guidaall’attuazione di alcune disposizioni del regolamentto CE n. 853/2004
in materia di igiene degli alimenti d’origine animale, Commissione Europea, Direzione generale della Salute e dei Consumi, 2009.
3 Comments
Calamarata con tonno e verdure con pesto al tarassaco – EatParadeBlog
21 Luglio 2017 at 14:23
[…] (Prima di consumare pesce crudo, o poco cotto, leggete QUESTO APPROFONDIMENTO). […]
Tartare di canocchie e pesca bianca in zuppetta fredda di sedano –
21 Luglio 2017 at 15:40
[…] si può ovviare con la congelazione.Trovate un utile ed esauriente approfondimento in quest post del […]
Mapi
16 Settembre 2017 at 15:04
Un articolo molto esauriente ed interessante, grazie Annalena!
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