Si può dire che il Kulfi è un gelato? Mentre in occidente lo si chiama il gelato indiano, gli indiani stessi lo chiamano un dessert ghiacciato. La differenza più rilevante tra il gelato occidentale e i l kulfi è che quest’ultimo non passa per la fase di mantecatura, per cui ha meno aria, è più denso e si scioglie meno rapidamente.
Servito nel tradizionale stampo di terracotta, o su uno stecco, o ancora in un piatto o su un letto di vermicelli bagnati di sciroppo di rose, questo dessert congelato vanta di una storia molto antica.
Popolare in molti paesi del Sud Asiatico, come Myanmar, Pakistan e Bangladesh, si crede che il Kulfi sia nato nel subcontinente indiano, tra le antiche popolazioni dell’Himalaya, che avrebbero imparato a combinare latte di Yak con neve, ghiaccio e altri ingredienti per dar vita a vari tipi di dolci congelati.
Fu però solo tra il XVI e il XIX secolo che il kulfi divenne popolare, grazie al regno degli imperatori Mughal che lo resero tale. Alcuni credono infatti che siano stati loro a portarlo in India da Kabul e Samarcanda, altri invece sostengono che i Moghal lo avrebbero sviluppato a Delhi, durante il regno dell’Imperatore Akbar, facendo arrivare il ghiaccio da una montagna chiamata Chur-Dhar, il cui picco all’epoca era perennemente innevato.
Nell’ Ain-i-Akbari, (AD 1590), un importante registro dell’impero di Akbar è descritta dettagliatamente la preparazione del Kulfi. Una massa solida di latte condensato facendolo bollire per ore, era mescolata a pistacchio tritato ed essenza di zafferano. Questo impasto era poi messo in piccoli stampi a forma di tronco di cono, che venivano chiusi con pasta di pane e messi a congelare in un misto di ghiaccio e sale.
Il metodo tradizionale per fare il Kulfi è cambiato di pochissimo fino ai giorni nostri. Il latte, fatto evaporare per ore a fuoco lentissimo fino a ridurlo a meno della metà del suo volume, è mischiato con spezie e zucchero e messo negli stampi. Gli stampi vengono messi in un gran contenitore di ghiaccio e sale, il quale è agitato delicatamente fino a che il kulfi si ghiaccia completamente.
Le versioni più moderne contemplano anche l’aggiunta di polpa di frutta, il Mango Kulfi è probabilmente diventato più popolare di quello tradizionale di solo latte.
In India, esistono tradizioni che ruotano intorno al kulfi.
Un barafki handi, un barattolo pieno di kulfi diversi, è un dono speciale e molto gradito da mandare a qualcuno per esprimere ringraziamento o apprezzamento.
Durante il festival di Teej e Sindhara -la festa delle figlie e delle nuore- le ragazze sposate tornano per qualche giorno a casa dei genitori e durante la festa, i suoceri le mandano regali in segno di affetto. Uno dei regali più usati è il barafki handi, che viene aperto e consumato allegramente da tutta la famiglia.
A Delhi i Kulfiwalla -venditori di kulfi- ambulanti o con negozio fisso, fanno affari d’oro in quest’epoca, la più calda dell’anno. È abitudine degli abitanti di Delhi finire i loro pasti con un kulfi, sia pranzo, cena e sì, anche a colazione.
Non esiste una ricetta, ognuno lo fa a suo modo. Le proporzioni tra latte e zucchero, le spezie e i sapori vari dipendono dalla mano di chi lo produce e dalla stagione in cui lo si prepara.
Il metodo tradizionale prevede ore di cottura su fuoco lento, in modo da far ridurre il latte a meno della metà del volume iniziale, senza mai farlo bollire. Una volta tolto dal fuoco, si aggiunge lo zucchero, lo si mescola fino a farlo dissolvere e poi si aggiungono le spezie (cardamomo, zafferano, cannella), e la polpa di frutta, se usata.
Molte persone oggi seguono metodi moderni che prevedono l’uso di latte evaporato o condensato già pronto, panna, addensanti o addirittura di preparati per accelerare il processo, ma il sapore e la consistenza ne risentono parecchio.
Malgrado l’esistenza dei congelatori e delle moderne trovate salva-tempo, la tradizione secolare del latte sul fuoco e del ghiaccio e sale, per fortuna, perdura.
Testi e fotografie a cura di Eleonora Colagrosso
Special Guest Manish Poddar