Una delle abitudini più tipiche del nostro Paese è quella di parlare di cose che non si conoscono con persone che ne sanno ancora di meno. Da qui, polemiche su polemiche, con l’inevitabile risultato di allontanare quella chiarezza che ci si era prefissata all’inizio. Lo stesso è successo coi grani antichi, su cui in questi ultimi tempi è stato detto di tutto e di più, non sempre da fonti autorevoli. E’ anche per questo che, nella Giornata a loro dedicata, si è deciso di intervistare il Professor Stefano Benedettelli, Professore associato presso il Dipartimento di Scienze e Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente (DISPAA) AGR/07 – Genetica agraria dell’Università di Firenze che, intervistato da Annarita Rossi, ha risposto in modo chiaro, esauriente e più che esaustivo alle sue domande.
Partiamo dalla definizione: che cosa si intende per “grani antichi”?
Diciamo subito che “Grani antichi” non è una definizione perfetta: qualcuno sostiene che ci si debba riferire alle specie antecedenti il 2000, altri il 1950, qualcuno prima del 1960… in realtà una netta distinzione temporale tra grani antichi e moderni, non c’e’. L’unica cosa che si può dire è che vengono considerati antichi i grani che non hanno subito una forte pressione selettiva riguardante la qualità tecnologica del glutine, ma anche questo non è sempre verificato: ad esempio, nella definizione possono rientrare anche alcune varietà di grano moderno tipo biscottiero cioè con caratteristiche specifiche per farine utilizzate per fare i biscotti, quindi con una buona percentuale di glutine. Lo stesso vale per il contenuto di proteine in genere: ci sono varietà cosiddette “antiche” che contengono più proteine di quelle moderne. Semmai a cambiare è il tipo di proteina, il che implica altri approfondimenti che esulano dalla domanda, alla quale non si può rispondere se non dicendo che ancora una definizione precisa non c’è.
Recentemente ci sono state delle polemiche in merito al reale valore nutritivo di questi grani. In buona sostanza, quello che si è detto è che dal punto di vista nutrizionale sono identici agli altri, non sono più poveri in glutine e che la sola differenza riguarda la produttività, che è più bassa. Cosa c’è di vero?
Tutto è vero, solo che le varietà antiche, dal punto di vista delle abilità genetiche hanno una migliore composizione di metaboliti secondari; a parità di quantità, gli stessi 10 milligrammi di un polifenolo costituito da poche molecole o 10 ml di polifenoli costituite da diverse strutture molecolari danno una maggiore variabilità alle specie antiche rispetto alle varietà moderne. Questo influisce moltissimo sul tipo di coltivazione: i grani che concentrano tutto il loro metabolismo in quello primario, cioè, hanno bisogno di diserbanti o trattamenti antiparassitari, più di quelli che invece hanno anche un buon metabolismo secondario. E’ per questo che i grani antichi si adattano meglio alle colture biologiche, perché hanno una migliore capacita’ di reagire alle malattie o alle insidie che provengono dall’ambiente esterno. Anche questa regola, comunque, ha le sue eccezioni.
Quello che però va sottolineato é che le varietà moderne non sono mai state selezionate per le caratteristiche legate alla nutrizione: il miglioramento genetico é sempre e solo stato finalizzato all’incremento produttivo e questo però ha avuto delle conseguenze anche dal punto di vista delle caratteristiche alimentari. Ce ne accorgiamo anche semplicemente annusando o assaggiando, perché é indubbio che i profumi e i sapori siano completamente diversi. Quindi, il problema é qui: queste mutazioni, nate solo per assicurare una maggiore produttività, hanno sicuramente avuto delle ripercussioni anche sul piano delle caratteristiche alimentari, come possiamo arguire anche dalla semplice esperienza. Il che significa che i contenuti di amidi e di calorie sono mutati.
Quanto e come e che conseguenze questo possa avere sul nostro organismo – questo é ancora tutto da vedere. E’ da verificare in modo scientifico la scomparsa di alcune sintomatologie di solito legate al glutine: e’ da capire se i risultati di alcune analisi che dimostrano la diminuzione di indici infiammatori dipendano dal glutine o dai polifenoli, insomma: trarre conclusioni, da una parte o dall’altra e’ sicuramente prematuro. Come al solito, il problema é legato alla scarsità dei fondi per la ricerca, per cui dobbiamo sempre accontentarci di fare piccoli passi, anche quando il ballo ci sono questioni importanti come la salute e l’alimentazione.
Diciamo comunque che, anche da un punto di vista logico, un mutamento cosi radicale del grano come quello che é avvenuto in questi ultimi 50 anni, dopo che per oltre 10000 anni abbiamo mangiato un altro tipo di frumento, non può essere tollerato senza qualche trauma dall’organismo. Ma stabilirne natura, cause e concause, questo é ancora tutto da scrivere.
La quinoa rientra nella categoria dei grani antichi?
No la quinoa è uno pseudocereale e non c’entra assolutamente con i grani antichi: è una pianta che è priva di glutine come l’amaranto e il grano saraceno, ma che non ha la struttura delle graminacee. Sarebbe più corretto parlare di “specie antiche”, in questo caso, perché in effetti, dove si coltivano quinoa e amaranto nessuno ci ha messo le mani per qualche migliaio d’anni, a parte la selezione per la produzione che nulla ha a che vedere con quella in laboratorio.
Ci può consigliare qualche tipo di grano antico da utilizzare in cucina?
Il Verna tra i frumenti teneri poi l’Inallettabile, il Gentil Rosso, il Frassineto che sono molto coltivati in Toscana, il Sieve, l’Andreolo, il Gentil Bianco autonomia : tra i duri c’è il Cappelli e il Tumminia e il Farro lungo Perciasacchi che è stato iscritto come varietà da conservazione e quindi si può trovare il seme. Sempre tra i duri troviamo il Russello, il Rusciola, l’Urria e quelli della collezione Tricomoro Tricobianco della Sardegna sono tutti grani che hanno la caratteristica di avere un buon contenuto in polifenoli e soprattutto al livello di digeribilità risultano almeno in vitro le farine più digeribili rispetto a altri grani anche di varietà antiche .
E’ importante ricordare che il commercio di questi semi è regolato da una normativa molto severa, volta proprio a tutelare i consumatori. Se ad esempio si acquistano 2 quintali di seme non iscritto a registro si è passibili di sanzioni , sia chi l’ha venduto sia chi lo coltiva.
In conclusione, non tutte le varietà antiche sono positive come non tutte le qualità moderne sono negative. La cosa che va sottolineata è che il miglioramento genetico che si fa con le nuove qualità dovrebbe prendere in considerazione anche i parametri nutraceutici e i profumi e i sapori che poi sono legati alla bontà di quello che mangiamo: e le cose buone – fritti a parte!- fanno sempre bene.
Intervista a cura di Annarita Rossi
Immagine di copertina presa dalle risorse free del web
Immagine della Quinoa presa da qui
Immagine del Grano Gentil Rosso presa da qui
Immagine della mano che regge grano Saragolla del Cilento presa da qui