Tutti conoscono, come fritto giapponese, in tenpura ma chi è stato in Giappone sa che il vero equivalente del fritto misto, un classico della cucina popolare nipponica, è il kaki-age (pronuncia “cachi-aghe”), ovvero il tenpura delle casalinghe! Age deriva da ageru, friggere, kaki viene da kaki-mazeru, miscelare gli ingredienti con la pastella. In sostanza: si prepara la pastella del tenpura, che non ha bisogno di presentazioni, ed invece di intingervi verdure, pesce e crostacei interi o sagomati in artistiche fette li si riduce tutti a pezzettini e li si miscela alla pastella, che poi si frigge a cucchiaiate.
L’origine storica del tenpura è fatta risalire ai missionari portoghesi e marinai spagnoli che visitarono il Giappone nel periodo Muromachi (1336-1573) portando con sè diversi piatti della tradizione iberica. Il termine sembra derivare dal latino tempora, il tempo di Quaresima, in cui la dieta degli Occidentali all’epoca si doveva limitare a pesce e verdure, ma qualcuno sostiene che l’origine sia dal portoghese tempero, cioè salsa o condimento, in sostanza un modo per insaporire ingredienti dal gusto base delicato.
Ad ogni modo la lingua giapponese preferisce le parole ben scandite, quindi la m si è trasformata con l’uso in una più secca n ed il termine giapponese è diventato definitivamente tenpura, tanto che ora in Giapponese il pefisso ten- precede il nome di tutti i piatti in cui compare qualche ingrediente fritto in pastella.
Come sempre nella mentalità giapponese, qualsiasi cosa diventa una forma d’arte in cui l’estetica non è mai concepita come separata dal significato e dal contenuto di ogni gesto e di ogni prodotto da esso derivato. Anche cucinare un perfetto tenpura significa dunque sottostare a precise regole che organizzano meticolosamente la preparazione della pastella e della salsa di accompagnamento, così come il controllo della cottura e, particolarmente importante, il taglio prima e la disposizione nel piatto poi degli ingredienti della frittura.
Questo speciale fritto in pastella, inizialmente destinato solo alle tavole di corte, ingolosiva anche casalinghe e venditori delle friggitorie di strada giapponesi, che, senza tempo né voglia (né perizia) sufficienti per seguire alla lettera tutti i dettami, se ne inventarono una versione semplificata. Così il nobile tenpura si evolve in popolare kaki-age, a volte anche pratico “svuotafrigo”, in cui gli ingredienti non sono tagliati secondo i rigidi dettami del kiru (l’arte del taglio del cibo) e presentati secondo le regole estetiche del moritsuke (arte della presentazione del cibo), ma vengono ridotti in piccoli pezzetti e miscelati alla pastella e se ne ricavano frittelle, sottili e piatte oppure tonde e gonfie.
Anche il kaki-age è stato poi a sua volta codificato (!), per cui ora ogni zona, ogni stagione ed ogni famiglia del Giappone ha il suo speciale mix di ingredienti da legare con la pastella ma seguendo sempre alcune semplici regole, tipo che in genere un kaki-age è solo vegetale, eredità della cucina shoijin dei monaci vegetariani, senza nemmeno l’uovo nella pastella, o con pesce miscelato a verdure, rarissimamente di solo pesce, praticamente mai di carne.
Nella ricetta che segue si usano ingredienti di questa stagione ma nel kaiage compaiono le cose più disparate: melanzane, coste, zucchine, cipolle, mais, patate dolci con la buccia, fagiolini, taccole, rapanelli, carote, piselli, carciofi, peperoncini verdi dolci, funghi, fiori di zucca, foglie di basilico, zucca gialla, zenzero fresco, foglie di crisantemo, radici di loto, daikon, germogli di bambù, foglie di shiso e mitsuba, castagne d’acqua, seppie, noci di capesante, sogliole, novellame, merluzzo, calamari, polpo…
La regola d’oro è quella di non miscelare più di tre ingredienti per volta e di solito non unire due pesci nella stessa frittella, con la sola eccezione tradizionale di capesante con gamberi, a quanto pare alla vera origine del piatto. Ma poi, in effetti, ognuno fa come preferisce! Altro dettaglio importante, oltre all’armonia dei sapori, è che esteticamente gli ingredienti abbiano un rapporto cromatico armonioso, o per sfumature affini o per contrasti netti, e che siano tagliati tutti in forme e dimensioni simili. Qui si è optato per un taglio mijingiri, a pezzettini, che valorizza le differenti consistenze degli ingredienti. Se si sceglie invece una julienne (taglio sengiri), che trattiene meno pastella, si otterranno delle frittelle un po’ più sottili e croccanti, i cui tempi di cottura vanno leggermente ridotti.
Si tratta dunque di un cibo molto popolare, spesso presente sui banchetti di streetfood, nelle fiere e in piccoli localini aperti dall’alba a tarda sera, per poterne fare ad ogni ora una colazione, uno snack o un dopocena, ed esistono pure ristoranti di altissima levatura specializzati solo in questa prelibatezza. Insomma: da piatto yoshoku, di derivazione straniera, nei secoli il kaki-age è diventato oramai un piatto washoku, cioè tipicamente giapponese, dove shoku è “cibo” mentre il termine Wa significa sia “Giappone” che “armonia”.
Le frittelle di kaki-age si mangiano da sole, bollenti di frittura sia seduti ad una tavola che nel cartoccio del venditore di strada, ma vengono consumate anche come snack freddo dentro un bento, diventano ingrediente speciale di un più vasto tenpura elegante oppure vengono usate per insaporire e dare una nota croccante ad un piatto principale, come adagiate sopra una ciotola di riso caldo (tendon) o tuffate all’ultimo in una zuppa di noodle (tenzaru).
Se consumate da sole, nella tradizione sono accompagnate dalla salsa tentsuyu, una “salsa da fritto” dal sapore decisamente umami che sottolinea la naturale sapidità degli ingredienti, mentre nelle interpretazioni più recenti (comode per chi non ha in casa il brodo dashi od il vino mirin per prepararla in casa o ha dimenticato di acquistare la salsa pronta) le frittelle vengono accompagnate da un mucchiettino di sale, semplice o aromatizzato, in cui vanno intinte appena in un angolino.
Ecco qui una delle possibili ricette, “classica” nel senso che utilizza quel che si trova fresco in questa stagione (l’articolo è scritto un po’ in anticipo sulla pubblicazione) e con qualche trucchetto per un kaki-age asciutto e croccante. Alcune varianti sul tema però, più o meno canoniche o curiose, in parte davvero poco giapponesi, possono implicare modalità differenti. Le più diffuse sono:
• usare un uovo intero al posto del solo tuorlo oppure eliminare completamente le uova
• miscelare alla farina un cucchiaio di amido di patate o di maizena
• sostituire la farina 00 con farina di riso
• salare leggermente la pastella
• unire un cucchiaio di aceto di riso, di sakè o di birra alla pastella
• usare un pizzico di lievito per la pastella
• usare acqua gasata al posto dell’acqua normale
• sostituire le uova con la maionese
• dimezzare verdure e pesce per la stessa dose di pastella, se si desidera l’effetto “nuvoletta farcita” invece di quello “verdura pastellata”
• usare salsa Worcester come dip al posto della tentsuyu
• usare olio di soia per la frittura
• unire un cucchiaino di strutto all’olio di frittura
Haru kaki-age – Fritto giapponese di primavera
Ingredienti
per circa 16-18 pezzi, piatto principale per 4-6 persone
400 g di gamberi interi freschissimi (c.a 200 g sgusciati)
250 g di asparagi sottili (asparagina)
la parte bianca di 1 porro (c.a 120 g mondato)
sale
400 ml di olio di arachidi per friggere
1 cucchiaino di olio di sesamo
Per la pastella (koromo)
125 g di farina 00 a basso contenuto di glutine (hakurikiko), + 2 cucchiaiate
circa 180/200 ml di acqua ghiacciatissima (ideale è lasciarla in frigo con qualche cubetto di ghiaccio fino a che si è sciolto)
1 tuorlo d’uovo
Per la salsa (tentsuyu)
120 ml. di dashi (brodo di alghe kombu e fiocchi di tonnetto secco)
30 ml. di salsa di soja
30 ml. di mirin (vino dolce di riso)
3 gr. di katsuobushi (fiocchi di tonnetto secco)
(optional: daikon e zenzero freschi)
Per la pastella di solito si usa acqua in quantità doppia della farina ma il segreto sta nel setacciare un paio di volte con cura la farina e versarla in un bicchiere graduato, quindi disporre il tuorlo in un uguale recipiente e versarvi sopra tanta acqua ghiacciata quanta ne serve per raggiungere lo stesso livello della farina. La vera dose dell’acqua, dunque, dipende dalla dimensione del tuorlo. Levare gli eventuali cubetti di ghiaccio dall’acqua prima di usarla perchè non devono entrare in contatto con il tuorlo.
Sbattere l’uovo con l’acqua con paio di bacchette e, quando è ben amalgamato, unirvi in un solo colpo la farina setacciata. Mescolare lentamente e per poco tempo per evitare bolle e che la pastella diventi collosa, non importa se restano dei grumi. Una teoria vuole la pastella usata subito, l’altra fatta riposare da un minimo di un’ora fino a 24 ore. Qui ha riposato un’ora.
In ogni caso la pastella va sempre mantenuta molto fredda, conservandola sigillata in frigo se la si vuol fare maturare oppure tenuta lontana dai fuochi, in una ciotola inserita in un contenitore più grande pieno di ghiaccio, se la si usa al momento. Ovvio che in questo caso è l’ultima cosa da preparare dopo aver finito la salsa e tagliato tutti gli ingredienti da friggere.
Per la salsa scaldare tutti gli ingredienti in un pentolino, sobbollire per un minuto in modo che si insaporisca bene, poi spegnere e filtrare. L’ideale è servire la salsina tiepida, quindi, se non la si è prepata all’ultimo momento, scaldarla leggermente appena prima di servire. Nella salsa di solito si scioglie, a gusto del commensale, un pochino di daikon (rapa giapponese) fresco grattugiato finissimo e/o una punta di zenzero grattugiato, serviti a parte e disposti a cono, a ricordare il monte Fuji.
Scottare gli asparagi, privati degli ultimi 4 o 5 cm di gambo, per 2 minuti a vapore sopra acqua già bollente e tagliarli a pezzettini da 4 o 5 mm. Sgusciare i gamberi e tagliare anch’essi a pezzetti. Tritare grossolanamente il porro. A mano a mano che gli ingredienti vengono pronti conviene coprirli e conservarli separatamente in frigo perchè per una buona frittura giapponese devono essere ben freddi sia la pastella sia gli ingredienti che le si aggiungono.
Al momento di friggere miscelare asparagi, gamberi e porro. Spolverare con una presa di farina e rimestare velocemente con le mani perchè sia tutto ben asciutto, quindi versarci sopra la pastella e mescolare velocemente. Se si pensa di non accompagnare le frittelle con salsa o sale, conviene salare leggermente la farina del mix e/o la pastella, altrimenti il kaki-age resta scondito.
Accendere prima la cappa aspirante, poi scaldare l’olio di arachidi unito a quello di sesamo in un wok o un pentolino dai bordi alti, portandolo a 170°. La temperatura ideale è raggiunta quando una goccia di pastella lasciata cadere nell’olio affonda fino a metà altezza e poi torna a galla. Se galleggia e dora subito l’olio è troppo caldo, se tocca il fondo e fatica a risalire la temperatura è troppo bassa. Per tenere la temperatura costante conviene friggere sempre pochi kaki-age per volta.
Con un cucchiaio unto versare a cucchiaiate la miscela nell’olio, non più di due o tre frittelle per volta, rivoltandole un paio di volte durante la frittura; levarle dal tegame quando sono croccanti ma ancora chiare, usando le bacchette o una pinza perchè perdano più olio possibile, ed adagiarle su carta assorbente. Tenere in caldo mentre si prepara il resto. Ci vogliono circa un paio di minuti di cottura ed è una regola del tenpura classico friggere prima i kaki-age vegetali poi quelli misti o di solo pesce e crostacei, per evitare di profumare troppo l’olio.
Levare dall’olio eventuali briciole di pastella prima di calarvi le frittelle successive ed assicurarsi che la temperatura rimanga più costante possibile. Se si vogliono frittelle più gonfie aiutarsi con le bacchette mentre friggono per donare loro una forma più sferica. I Giapponesi, però, apprezzano di più le forme spontanee ed irregolari, determinate dal taglio degli ingredienti e dal caso. Per le frittelle di sole verdure la temperatura dell’olio può essere anche leggermente più bassa, per quelle di solo pesce anche un pochino più alta.
Disporre in numero dispari i kaki-age in piatti individuali rivestiti di cartapaglia o simili e accompagnare con una ciotolina di salsa per ciascun commensale. In Giappone, quando non ci sono foglie di loto, si usa un foglio speciale per fritti che è decorato ed assorbente da un lato, neutro e cerato dall’altro, in modo che l’eventuale unto non filtri sul cestino. Dal punto di vista compositivo, qualsiasi carta si usi dovrebbe essere un rettangolo piegato in due in modo non perfettamente regolare, così che si possano intravedere contemporaneamente il dritto ed il rovescio della carta.
Nell’uso casalingo i kaki-age, ben scolati ed asciutti, una volta freddi si possono anche congelare, scaldandoli poi nel tostapane o in forno quando serve aggiungerli a riso o zuppe, ma è una pratica sconsigliata se si vogliono consumare da soli: piuttosto, come nei bento, meglio tenerli coperti e mangiarli a temperatura ambiente entro 6 ore dalla frittura.
Testi e fotografie a cura di Annalena De Bortoli – Acquaviva Scorre