Alessandro Colonnetta è un artista che emoziona.
Questo, e poco altro, riesco a scrivere in una introduzione che ho accettato di fare con slancio (non per amicizia: mia madre ha la casa piena dei suoi quadri e, in famiglia, è quella che di pittura si intende per davvero) e che adesso invece fatico a stendere, consapevole come sono di non essere un critico, ma solo una appassionata.
Eppure, quando si è discusso su chi intervistare, in una giornata che celebra il rapporto dell’arte con il cibo, Colonnetta è stata la scelta unanime: di nuovo, non perché il cibo sia uno dei suoi soggetti preferiti, ma perché attraverso la sua rappresentazione, il pittore riesce a scardinare emozioni sopite. Provate ad osservare un suo quadro: la geometricità dei tratti, ammorbidita però da un’ampia pennellata, la violenza dei colori contenuta però nelle forme vi metteranno immediatamente di fronte a una materia colta sì nella sua essenzialità ma proposta con una mediazione sensibile, quasi affettuosa, di chi ama ciò che osserva- e lo ama di un amore dolce, delicato, gentile.
Nessuna concessione al naive, precisiamo: non c’è spontaneità, ma sintesi pittorica, sulla sua tela. E la sua sintesi tiene anche conto di una formazione lunga ed accurata, iniziata con studi umanistici e proseguita poi con la professione di archeologo (come dire, il ragazzo ne sa) e con una parallela riflessione sul cibo, a 360 gradi. Ma tutto è confluito in questa capacità di cogliere la bellezza del mondo- anche dove essa è nascosta- di mediarla attraverso le note del cuore e di suscitare una risonanza di emozioni in chi osserva, in un’esperienza destinata costantemente a rinnovarsi, in un inno alla vita, nella sua parte migliore.
In fondo all’intervista trovate il video di live painting del quadro di copertina, realizzato in esclusiva per il Calendario del Cibo Italiano.
Ogni artista ha un suo percorso, spesso centrato su tematiche peculiari che lo definiscono e lo rendono riconoscibile. Qual è stato il tuo percorso personale quello che ti ha portato alla pittura e oggi anche alla ceramica e perché hai scelto il cibo come cifra connotativa delle tue opere?
Due fattori principali mi hanno portato a dipingere. Il primo è la mia grande curiosità per ciò che mi circonda, che mi ha dato la spinta ad intraprendere, attraverso il mezzo pittorico, un’analisi del mondo sotto le sue molteplici sfaccettature. Dipingo ciò che vedo e ciò che percepisco, niente di più niente di meno, non psicanalizzo i miei soggetti, raramente indago sentimenti ed emozioni, mi limito a rappresentare situazioni, vere o comunque verosimili, dove i pensieri e le idee dei soggetti raffigurati sono eventualmente svelati dalle azioni che compiono.
Il disegno è stata la mia prima valvola di sfogo, mi ha dato la possibilità di rappresentare, di sintetizzare ciò che osservavo intorno a me. Il passaggio dal semplice scarabocchiare su un foglio, ad un più organizzato e strutturato percorso di pittura è certamente merito del contesto in cui sono cresciuto, che è il secondo fattore a cui facevo riferimento prima. Aver vissuto con una pittrice, mia nonna, è stato fondamentale non solo per apprendere le tecniche pittoriche di base, ma anche per imparare a considerare la pittura come un aspetto fondamentale della mia vita, non un puro hobby, una parte di me con cui convivere orgogliosamente e a cui dare il giusto spazio.
Per quanto riguarda la scelta di rappresentare il cibo, la spiegazione è abbastanza semplice: amo mangiare, mi piace cucinare, anche se non lo faccio quasi mai, e mi appassionano i tanti aspetti legati all’alimentazione: cultura, tradizione, storia. A questo si aggiunga che la maggior parte degli ingredienti di base, dalla frutta alla verdura ad esempio, ha una bellezza intrinseca di forma e colore.
Nel corso della Storia dell’umanità, l’uomo ha da sempre avvertito la necessità di rappresentare ciò che mangiava. Un bisogno ancestrale che poi si é razionalizzato in un ventaglio di significati diversi, con simbologie terrene e celesti. Secondo te, oggi, é stato detto tutto o ci possiamo aspettare ancora qualche sorpresa?
Io penso che fortunatamente non verrà mai meno l’impulso di alcune persone di rappresentare ciò che siamo e ciò che facciamo attraverso la pittura. È stato detto molto, ed è stato detto in tanti modi, ma il punto di vista che una persona molto ispirata può avere verso un soggetto è così imprevedibile, che un semplice cesto di frutta su un tavolo può venire rappresentato in mille modi differenti. Molti maestri, soprattutto tra fine 800 e inizi 900, hanno dato nuovi impulsi nel campo della pittura, hanno codificato linguaggi espressivi nuovi, da cui oggi è difficile prescindere (è classica la frase “sembra un Picasso”), ma fortunatamente i linguaggi espressivi dell’uomo sono potenzialmente infiniti: secondo me basta disciplinare la propria ispirazione con un’idea chiara di cosa si vuole rappresentare e di come lo si vuole fare.
Qual e’ l’artista che ha rappresentato il cibo in maniera più efficace, nella storia dell’arte? (non vale rispondere “io”). E quello che ti ha influenzato di più? (non vale rispondere Cezanne)
Anche se non era uno dei suoi soggetti più frequenti, la risposta ad entrambe le domande è Picasso. Lui ha stravolto così tanto il modo di rappresentare ciò che lo circondava, che ha dato un sonoro scossone a quei pittori che erano alla ricerca di nuovi modi di sintesi della realtà. Le linee essenziali delle sue nature morte, la scomposizione delle forme, l’alterazione dei piani prospettici mi ispirano e mi affascinano sempre.
Colore e geometrie sono le altre due parole chiave per definire i tuoi quadri. Sono quadri “materici”, in cui la materia cioèsi impone prorompente e prende vita nella essenzialità di forme nette e colori accesi. Eppure, strettamente parlando, anche queste sono Nature morte: come la mettiamo?
Ognuno ha un proprio modo di sintetizzare la realtà, attenzione non ho detto di vedere, ma di sintetizzare. Io vedo le cose esattamente come gli altri, semplicemente non provo soddisfazione nel rappresentarle così. Negli anni, nell’evoluzione del mio stile, ho lasciato andare libero il mio istinto, la mia ispirazione, scrollandomi di dosso l’abitudine di una rappresentazione “fotografica” del soggetto. Ciò non vuol dire lasciare andare libera la mano sulla tela senza un’idea di base, anche l’ispirazione va disciplinata secondo me: è fondamentale quindi avere chiaro in mente cosa si vuole rappresentare e, se si vuole evitare l’astrattismo, lavorare sulla riconoscibilità della raffigurazione. Dunque una natura morta è tale quando l’idea di base, o il modello di partenza, è una natura morta, e quando chi dipinge inserisce coscientemente e volutamente elementi che riconducano al soggetto di partenza, non importa se venga utilizzato un repertorio formale “alternativo”.
Gran parte dei tuoi quadri rappresentano il cibo anche nei suoi processi di trasformazione, con un focus diretto sul lavoro dell’uomo e sull’uomo che lavora. Quello che “passa”, cioè, non é tanto il gesto che plasma, ma la storia di chi questo gesto lo compie. Per cui, la domanda che sorge spontanea é: c’é più antropologia, nei tuoi quadri, o più denuncia sociale?
Ci sono entrambi gli aspetti. Quello culturale antropologico non potrebbe non esserci, se pensiamo che le pratiche agricole, fino poi all’utilizzo dei frutti della terra nella preparazione delle pietanze, sono azioni antropizzate, storicizzate, facenti parte del patrimonio culturale di una persona/società. Ecco perché in una composizione pittorica che abbia questo tipo di soggetti per me sono fondamentali il contesto storico generale ma anche i riferimenti alle molteplici variabili di una tradizione comune.
La denuncia sociale è un altro aspetto fondamentale dei miei quadri e, per rispondere alla domanda, non credo che tra questo e l’antropologia ci sia un elemento prevalente. I due aspetti non si escludono, anzi convivono molto spesso nei miei quadri, ad esempio quando il lavoro della terra avviene in un contesto di sfruttamento.
Intervista e testi a cura di Alessandra Gennaro
Fotografie a cura dell’artista Alessandro Colonnetta
Immagine di copertina: “Natura morta con fruttiera e pesce”.
1 Comments
Dani
30 Maggio 2017 at 8:49
Amo amo amo i suoi quadri, da quando ne ho uno in soggiorno sono felice 🙂
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