Nascere donna nei Balcani solo qualche anno dopo aver visto la bandiera turca ammainata dal punto più alto dalla fortezza di Belgrado, dove sventolava da 5 secoli, non prometteva moltissimo in termini di libertà delle scelte, salvo provenire da un ambiente illuminato e avere un carattere forte, molto determinato e coraggioso.
Nata nel 1881 nella famiglia del ministro della giustizia e dell’istruzione della giovane Serbia, Spasenija Markovic, detta Pata, dopo aver frequentato come tantissime sue coetanee benestanti la scuola per le giovani ragazze a Vienna, era tornata nella sua città per aprire la prima scuola per i mestieri femminili di Belgrado con l’obiettivo di trasmettere la sua esperienza alle giovani donne e prepararle non solo a gestire la casa ma anche a pretendere di partecipare alla vita del paese.
Non si ricamava soltanto nella sua scuola, né si imparava solamente a ricevere e fare salotto: si imparava a cucinare in modo sano e semplice, stando attenti a non spendere troppo e a non sprecare nulla, tempo compreso.
Questa “missione” è stata trasformata negli anni ’30 nella rubrica settimanale ospitata nel quotidiano “Politika”, dove venivano pubblicate le ricette da lei revisionate e trascritte, provenienti dalle sue lettrici da tutto il paese. La sua rubrica, ma anche lei stessa con i suoi modi gentili e nello stesso tempo autorevoli, era diventata molto seguita e popolare. Lo spazio di “Politika” che lei gestiva era diventato un punto d’incontro per le giovani signore istruite che diffondevano a loro volta un modo moderno di vivere all’interno di una società tradizionale e spesso maschilista.
Pata era considerata un esempio: senza pretendere di sconvolgere troppo gli equilibri della società dell’epoca, pretendeva però di avere tempo da dedicare alle proprie passioni e ai propri interessi, una richiesta per nulla scontata allora e a quelle latitudini. A modo suo era una rivoluzionaria che, fra le righe e dicendo senza dire, zigzagando la censura, scherzava sui modi discutibili della famiglia reale, osando addirittura criticare certi membri del governo.
Non passavano certo inosservate le sue considerazioni, ma la sua fama ormai era talmente grande e la figura così carismatica che, invece di essere oscurata come si usava fare, il suo percorso è culminato con la pubblicazione, nel febbraio del 1939, della raccolta di 4000 ricette con il titolo “Il mio libro di cucina”. Era una donna sola e coraggiosa, amata e rispettata ma, come tutte le donne che anticipavano i tempi, anche guardata con molto sospetto. Durante l’occupazione tedesca nel corso della II guerra mondiale non esitò a rischiare la propria vita nascondendo i bambini ebrei a casa sua a Belgrado. Tutto questo non le bastò per poter continuare ad avere una meritata posizione nella nuova società nata dalle ceneri della guerra; al contrario, per le sue “posizioni chiaramente borghesi”, fu dichiarata “nemico del popolo”. Il suo libro è stato ripubblicato più volte fino al 1963 ed è tuttora il talismano di cucina presente nella gran parte delle case serbe, conosciuto come “Il libro di cucina di Pata”.
Oggi il valore utile delle sue ricette è spesso scarso per via dei modi di cucinare chiaramente superati, per gli ingredienti ormai introvabili oppure per l’approssimazione dei tempi di cottura. Ma il libro è inestimabile come testimonianza di un modo di vivere piccolo borghese di una volta, come documento che testimonia il lento passaggio dal vecchio al nuovo, ed anche come una sorta di dizionario dei modi di dire in cucina che a volte, letti a distanza di decenni, possono provocare dei veri choc culturali: “la ragazza deve alzarsi presto per scendere nel giardino e tirare il collo della gallina”, “prendete una carpa, avvolgetela in uno strofinaccio pulito di lino e datele un colpo deciso con il batticarne”, “la ragazza si deve sedere al sole e spennare la gallina con cura ma velocemente”. E che cosa dire di “la pastella deve essere più densa dell’acqua che esce dal rubinetto, ma più lenta rispetto a quella della torta con le visciole” e “impastate fino ad ottenere la pasta liscia tanto per poter dire: è davvero bella!” ?
Testi e fotografia di apertura a cura di Marina Bogdanovic
Fotografia storica di Pata Markovic presa da qui.
Contributi a questa giornata
Giuliana Fabris – il Djuvec
Claudia Primavera – La Ricca Cucina Povera, di Petronilla e Pata Markovic
Silvia de Lucas – Pasticcini Londinesi
Alessandra Molla – Zuppa di Fagioli Cannellini
Leila Capuzzo – Focaccia di Mais e Tonno Fresco
Fabiola Palazzolo – Musaka
Gaia Innocenti – Musaka Serba
Cecilia Bendinelli – Lenja Pita
Maria Teresa Cutrone – Pane rituale serbo
4 Comments
Gaia
11 Maggio 2017 at 18:17
Grazie, Marina, per averci fatto conoscere Pata e la sua storia.
Il mio amore per gli impasti e la loro bellezza è tanto grande da farmi comprendere perfettamente cosa intendesse quando scriveva:
impastate fino ad ottenere la pasta liscia tanto per poter dire: è davvero bella!
🙂
Maria Teresa
11 Maggio 2017 at 22:03
Che donna coraggiosa, grazie per avercela presentata e per la traduzione delle ricette.
La foto è splendida, e dice tutto!
Marina
11 Maggio 2017 at 23:12
Ma è vero che la pasta ad un certo punto diventa davvero setosa e morbida e ti viene di dire una cosa del genere ma vederlo scritto fa sorridere ! È stato un piacere Gaia, grazie per aver risposto 😊
Cecilia
12 Maggio 2017 at 10:23
Ha ragione la Silvia. Marina, devi tradurvi tutte le ricette di Pata Markovic, ci sono piaciute assai!!!
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