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ASCESA E CADUTA DI UNO SCOTCH EGG

C’era una volta un re – o meglio: c’era una volta una dinastia di re, tedeschi di origine e via via sempre più britannici, per adozione e per nascita,  sotto i quali la Gran Bretagna conobbe uno dei suoi periodi di maggiore splendore. Oltre ad avere tutti pessimi rapporti fra padre e figlio e turbolente vicissitudini coniugali, questi re avevano in comune anche il nome, Giorgio, da cui quell’età georgiana in cui  ad una politica estera aggressiva e fortunata fece da perfetto contraltare una politica interna di riforme che si tradusse in un miglioramento concreto delle condizioni di vita del popolo. Per la prima volta nella sua storia, la middle-class britannica poteva finalmente condividere quei passatempi che fino ad allora esano stati esclusivo appannaggio solo dell’aristocrazia, pur se con gli eccessi e le esagerazioni dei nouveau riche. Ma il denaro circolava grazie ai nuovi mercanti, ai nuovi costruttori, ad una nuova borghesia sempre più imprenditoriale e rampante che si affacciava con un ingenuo entusiasmo anche alla vita culturale e mondana.

E mentre Handel importava dall’Italia l’opera, il British Museum spalancava le porte dei suoi tesori e una Elizabeth Bennet qualunque riusciva ad impalmare il più aristocratico e fascinoso di tutti gli scapoli d’oro della storia della letteratura, tutti si divertivano. La stagione si apriva con i teatri, i concerti, le corse di cavalli, i  balli, gli albori del rito del te’ (e anche del caffè, in questo periodo altrettanto in auge), le visite di cortesia, di carrozza in carrozza- e si chiudeva con la promessa di rivedersi tutti in quella campagna la cui conquista da parte dei borghesi significava agli occhi degli aristocratici la caduta del loro ultimo baluardo.

Dalla campagna, infatti, provenivano gli araldi e gli stemmi, dai possedimenti terrieri le ricchezze dei nobili e dal palazzo quel segno di distinzione che li elevava dal resto del volgo, come Downton Abbey insegna. Con le visite in campagna, iniziavano anche i picnic, con tanto di nome nato proprio in questi anni che fondevano le origini aristocratiche dei banchetti di caccia medievali e le più proletarie esigenze salutistiche del popolo bisognoso di un boccata d’aria fresca in un nuovo rito. Dai picnic lettarari a Boxhill a quelli destinati a diventare leggendari come Glyndebourne, Henely o, più tardi, Ascot, tutta l’Inghilterra che contava era pazza per questi pranzi sull’erba, gli unici ad aver bisogno di abiti diversi, tovaglie diverse, piatti e bicchieri diversi e, ultimo ma non ultimo, cibo completamente diverso da quello che veniva abitualmente servito nei pasti consumati sotto un tetto.

Da qui, la nascita di una serie di aristocratici sfizi, da cui sembra che derivino gli Scotch Eggs: stando alla versione fornita da Fortnum & Mason (lo “store” più regale che esista, che ha da poco festeggiato i 300 anni sempre al servizio della Casa Reale), la ricetta venne inventata da loro nel 1738, proprio come “appetizer” per i picnic fuori porta. Le carrozze passavano da Piccadilly per rifornirsi di questi scrigni dalla forma di grosse olive, in origine uova di pollastra, non di gallina (quindi più piccole), rivestite di paté di fegato e ricoperte poi di briciole di pane. Deliziosi a vedersi e facili da mangiare, avevano anche il vantaggio di emanare un odore meno sgradevole delle semplici uova sode, il che contribuì al loro successo.

Qualche decennio dopo, le Scotch Eggs scesero anche ai piani bassi, assumendo le dimensioni più voluminose delle uova di gallina e il rivestimento meno raffinato della carne tritata (spesso anche tagli poveri e frattaglie), all’esterno. Il declino proseguì anche nei secoli successivi, tanto che fino a pochi anni fa esse erano sinonimo del peggior cibo britannico. Vendute nelle sole stazioni di servizio, in pacchetti preconfezionati da 4 pezzi, erano per giunta le ultime ad essere prelevate dagli scaffali, di solito a tarda notte, quando davvero non c’erano più altre scelte. Finirono pure in qualche sit com, sempre in questo ruolo di cibo spazzatura a cui sembravano condannate per sempre, quanto meno fino a pochissimi anni fa, quando Olive, una delle più famose riviste di cucina della Gran Bretagna, li infilò a sorpresa nella “cool list” del 2011 e, poco dopo, Heston Blumenthal e Tom Kerridge ne inserirono due loro versioni, nei rispettivi stellatissimi pub. Da qui il dilagare di versioni finger food, con uova di quaglia e ripieni più leggeri, più green e sempre più etici, fino all’apoteosi in terra nipponica: sono l’ultima passione dei Giapponesi, che hanno visto nelle loro forme tonde e nella crosta dorata il segno di miglior augurio per il Nuovo Anno. Sake e Skorchi Eggs sono dunque un rito di buon inizio e chissà che questo non significhi una riscossa anche per gli originali.

LA VERA STORIA DELLE SCOTCH EGGS

Manca, naturalmente, perché anche la versione di Fortnum & Mason, per quanto sostenuta con aristocratica autorevolezza, manca di qualsiasi fonte: l’archivio delle cucine andò bruciato in un incendio nel 1950 e con esso anche l’atto di nascita ufficiale di questo piatto

Neanche sembra attendibilissima la teoria che li vuole “figli” di un piatto algerino, sostenuta da Colin Cutler, nel suo 1001 Strange Things: ad ispirare il piatto sarebbero state delle polpette speziate, ripiene di uova sode e rivestite di carne che dall’Algeria e attraverso la Francia sarebbero approdate Oltremanica già ai tempi di Elisabetta I. Il nome sarebbe una contrazione da “scorch”, bruciatura, visto che ai tempi le uova venivano cotte direttamente sul fuoco.  Nessuna fonte scritta, nessuna possibile spiegazione sulla assenza delle spezie (molto comuni per altro a quei tempi), neppure un plausibile riferimento al metodo di cottura: troppo poco per costruirci su qualcosa di plausibile

Più campanilistica, ma altrettanto fantasiosa, é l’attribuzione del piatto alla regione dello Yorkshire, come invenzione di tal William J. Scott, gestore di un posto pubblico sul mare, che ebbe la geniale idea di ricoprire le uova con una sorta di paté di pesce. Il piatto ebbe successo, tanto che l’idea venne copiata dalla concorrenza che, oltretutto, si dimostrò anche poco riconoscente, al punto da cambiare il nome dell’inventore, da Scott in Scotch. Anche in questo caso, nessuna fonte certa (se non il libro che ne parla, che però é del 1981) e, per giunta, l’invocazione di un costume non conforme alle buone maniere inglesi. La storia del cibo in Inghilterra e’ un esempio fulgido di rispetto di diritti d’autore e di diritti di vendita, quanto meno nell’antichità.

L’ ipotesi più accreditata resta ancora quella di Annette Hope che li fa derivare da un piatto indiano, le Nargis Kofta, polpette di carne di montone speziata, ripiene di un uovo sodo, solitamente  servite tagliate in due con un curry di pomodori e cipolle. A suffragio di questa tesi abbiamo, oltre che una storia consolidata di classici della cucina britannica di chiara importazione indiana, anche il fatto che nelle prime ricette scritte le Scotch Eggs venivano servite calde, ricoperte di gravy. Peccato che manchi un tentativo di spiegazione del nome che avrebbe forse dipanato le ombre che ancora rimangono sull’origine del piatto: il tentativo più interessante ci sembra quello di Tom Parkers – Bowl (si, il figlio: e’ un critico gastronomico raffinatissimo e scrive di cibo con un altrettanto raffinato sense of humor): facendo una veloce rassegna dei nomi dei piatti inglesi del XIX secolo, ha scoperto che e’ Scotch tutto ciò che contiene acciughe. Il che, peraltro, ci riporta al buio totale del punto di partenza.

Testi di Alessandra Gennaro
Fotografie a cura di Valentina de Felice – DiVerdeDiViola

3 Comments

  • Tamara Giorgetti

    9 Maggio 2017 at 17:35

    Queste uova sono una tentazione, mi piacciono proprio, complimenti bravissime

  • Katia Zanghì

    9 Maggio 2017 at 23:52

    Che bel lavoro! Piacevole, completo e suggestivo. Non conoscevo le Scotch eggs. Grazie .

  • Lucia

    10 Maggio 2017 at 11:48

    Queste uova sono una tentazione incredibile!!!!! immagino già il sapore….a breve le provo!!! grazie per averle condivise con noi!!!! 🙂

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