Forse é un bene, che la storia degli Stati Uniti d’America non abbia radici millenarie, al pari di quella europea: perché se tutte le ricostruzioni del passato dovessero essere intricate e aggrovigliate come quella relativa alla storia di questo piatto, sarebbe difficile potersi pronunciare con certezza anche sull’evidenza.
La stranezza é che la querelle sul vero inventore delle Uova alla Benedict ha inizio nel 1978, a quasi un secolo dalla creazione del piatto, mentre la prima attribuzione certa risale a 35 anni prima, precisamente alla celeberrima intervista rilasciata da Lemuel Benedict al The New Yorker, un anno prima di morire, nella quale l’ormai vecchio agente di cambio si dichiarava il pater certus di questa delizia.
Era una mattina del 1894, quando un allora giovane e impenitente Lemuel C. Benedict entrava disfatto nella sala da pranzo del Waldorf Hotel. Rampollo di una ricca famiglia newyorkese, Lemuel si era guadagnato da subito il titolo di “pecora nera”, assieme alle prime pagine di tutti i giornali scandalistici dell’epoca, a cui le sue scorribande notturne offrivano sempre materiale nuovo per il giorno dopo. Egli stesso era uno straordinario pettegolo, sempre al corrente del dietro le quinte dei salotti buoni della città, tanto da guadagnarsi una caricatura sul New York Stock Exchange, che lo ritraeva nella sua occupazione preferita- non certo quella ufficiale di agente di cambio. Più che a Bernard Shaw, sarebbe piaciuto immensamente ad Oscar Wilde: elegante, un po’ frivolo, amante degli eccessi ma con quel tocco di humor che, se lo aveva reso inviso ai vecchi della famiglia, lo aveva fatto amare ai più giovani nipoti: uno di loro, Coleman Benedict, ricordava spesso la sua apparizione al campionato di calcio dell’Università di Princenton, con indosso una pelliccia di procione e accanto un bastone in canna di bambù, dentro il quale era nascosta una fiaschetta di whisky.
Quasi da copione fu il matrimonio con Carrie Bridewell, una famosa soprano che i futuri suoceri liquidarono come scandalosa “perché doveva lavorare per vivere”, al pari di tutte le altre prodezze di questo eccentrico prodotto della Bella Epoque statunitense, paternità delle Uova alla Benedict compresa. Non stupisce quindi che solo quasi in punto di morte, nel 1942 (mori un anno dopo), Lemuel decise di raccontare al The New Yorker che dietro la più raffinata delle colazioni americane c’era il suo zampino: per smaltire i postumi di una sbronza e recarsi in ufficio dopo il precursore degli afterhours ci voleva qualcosa di più forte che una semplice colazione: meglio un toast leggermente imburrato con una fetta di bacon ancora sfrigolante, due uova in camicia e una colata di salsa olandese, direttamente dalla brocca.
Il leggendario Oscar Tschirky, allora maitre del Waldorf, appose poi le sue modifiche (mezzo English Muffin al posto del toast e una fetta di prosciutto invece del bacon) e mise il piatto in lista, consegnandolo a fama imperitura.
Lo scoop, per quanto importante, non suscitò gli effetti sperati e quando Lemuel morì, appena un anno dopo, la famiglia compose un necrologio da cui era assente qualsiasi riferimento a questo episodio: di tutte le avventure del defunto, la più imbarazzante era questa eredità che avrebbe legato per sempre un cognome cosi blasonato ad un piatto di uova nato dai postumi di una sbronza. Meglio, molto meglio, ricordare la sua attività di agente di cambio e far passare sotto silenzio tutto il resto.
Perché la storia tornasse alla ribalta ci vollero altri 35 anni e un altro articolo di giornale, Bon Appetit che, nel numero di marzo del 1978, raccontava ai lettori la vera storia delle Uova alla Benedict, attribuendola ad una certa signora Le Grand Benedict, cliente abituale del ristorante Delmonico che, sempre nel 1894, annoiata da una carta sempre uguale, aveva proposto allo chef di creare questo piatto.
Il pubblico di Bon Appetit non era certo quello raffinato e di nicchia del The New Yorker: la notizia si diffuse a macchia d’olio e nel giro di poche settimane la paternità venne data per certa, praticamente da tutti, tranne uno: un nipote canadese di Lemuel Benedict, Jack Benedict che, dai tempi della confessione dello zio, aveva fatto della storia di questo piatto la sua ragione di vita.
Dopo questo articolo, decise di uscire allo scoperto, arrivando anche a scrivere al cugino Coleman, che nel frattempo era diventato professore di antichità classiche alla Columbia University e a sua moglie Ethyle, anch’essa accademica di antichità classiche alla Brooklyn University. A Jack non sembrava vero di avere in famiglia due storici che avrebbero potuto suffragare con la loro autorevolezza la sua tesi: ai due professori, per contro, sembrò di avere a che fare con un imbroglione o con un pazzo.
Da bravi storici iniziarono a fare indagini, senza approdare a nulla. Ma quando, dopo qualche anno, si incontrarono in Canada (Jack era tipo da non mollare l’osso), cadde ogni diffidenza. Tratti somatici a parte, le fotografie che tappezzavano le pareti di casa sua erano le stesse che si trovavano anche nei loro album di famiglia e tanto bastò per sostenere la causa di quello che per loro resto’ sempre il “crazy cousin Jack”.
Più che “crazy”, Jack Benedict si sarebbe dovuto definire “obsessed”: la sua casa era stata trasformata in un piccolo museo dedicato a Lamuel e alle sue uova e il ristorante che aveva aperto era intitolato alla memoria dello zio e alla celebrazione di questo piatto, presente in carta nelle due versioni. Il suo più grande desiderio sarebbe stato quello di veder pubblicata la “vera” storia ma, nonostante le intercessioni dei cugini, tutti gli editori rifiutarono il manoscritto. Lo smacco più grande venne da Mc Donald’s, a cui egli propose un Sandwich Mc Benedict, con tanto di tovaglietta con l’immagine di Lemuel arrivando, purtroppo, troppo tardi, : la catena aveva già lanciato l’Egg Mc Muffin, negli anni Settanta, declinando le uova alla Benedict in tutte le possibili versioni, tranne che quella riferita al suo inventore.
“Il fatto e’ che la gente legge Bon Appetit. E i Le Grand hanno vinto, non i Benedict”, furono le sue parole di resa quando, dopo mezza vita trascorsa a combattere la sua battaglia, sfinito nel fisico da un enfisema polmonare e nello spirito dalla delusione e dalla disfatta, Jack Benedict mori, nel 1993, senza aver potuto realizzare il suo sogno.
Ma il corso della storia non aveva fatto i conti con Ethyle, quella cugina acquisita che, a differenza del marito, si era sempre più appassionata alla causa. E cosi, quando anche Coleman morì, nel 2005, la vedova fece aggiungere al necrologio la discendenza da quel Lemuel “che, a proposito, é rinomato per essere stato colui che inventò e diede il nome alle Uova alla Benedict, da lui ordinate per colazione al Waldorf Hotel, nel 1984 e che Oscar del Waldorf preparo’ e cosi chiamo’ in suo onore”.
Coleman non sarebbe stato contento, confessò poi la stessa Ethyle: la faccenda non gli era mai interessata granché e il DNA era comunque quello dei Benedict rispettabili e tutti d’un pezzo. Ma giustizia andava fatta, a qualsiasi costo, anche con un annuncio post mortem. E chissà che Lemuel non abbia riso sotto i baffi, dal bar del Paradiso, al pensiero che la sua vendicatrice, colei che non si vergognò di far sapere al mondo che cosa può venir fuori dai postumi di una sbronza, si chiamasse Ethyle – e non Mary o Jane…
Fonte – Beyer, G., Was he the Eggman?
LA VERA STORIA DELLE UOVA ALLA BENEDICT
1861: la prima menzione di una salsa olandese riferita espressamente a un Benedict si trova nella prima edizione del manuale di Isabelle Beaton, Mrs Beeton Book of Household Management, dove a p. 405 ( “Dutch sauce, for benedict” )
1894 : Charles Rahnofer, chef del ristorante Delmonico, pubblica un libro di ricette intitolato The Epicurean in cui sono riportate le Eggs à la Benedick – Cut some muffins in halves crosswise, toast them without allowing to brown, then place a round of cooked ham an eighth of an inch thick and of the same diameter as the muffins one each half. Heat in a moderate oven and put a poached egg on each toast. Cover the whole with Hollandaise sauce.
Per chi propende per la versione di Mrs La Grand Benedict, questa potrebbe essere la fonte, visto che al tempo della sua richiesta, Rahnofer era lo chef del Delmonico.
1942: Lemuel C. Coleman rilascia al The New Yorker un’intervista in cui asserisce di essere stato l’inventore del piatto, poi perfezionato da Oscar Tschirsky. Da notare che quest’ultimo, pur avendo scritto numerosi libri ed essendosi attribuito la paternità di numerosi piatti, non ha mai fatto menzione delle Uova alla Benedict.
1960: esce French Provencal Cooking dell’inglese Elizabeth David in cui l’autrice illustra un piatto chiamato œufs bénédictine, formato da una fetta di pan carré tostato e leggermente imburrato, spalmata di brandade di baccala’ con sopra un uovo in camicia, nappato a sua volta con salsa olandese.
1967: il New York Times Magazine pubblica una lettera di tal Edward P. Montgomery, un americano residente in Francia, con acclusa una ricetta di Uova alla Benedict a firma di E.C. Benedict, un commodoro morto ad 86 anni, nel 1920, che lui considera l’inventore del piatto
1978: Bon Appetit pubblica l’articolo che attribuisce la paternità delle uova ai signor La Grand Benedict (il numero originale, se volete potete acquistarlo su Ebay!)
Così dicono gli storici.
Leggende a parte, la spiegazione più probabile é che le Eggs Benedict abbiano non un pater, ma un avus certus: e’ infatti possibile che il nonno di questo piatto siano le œufs bénédictine, di cui fa menzione la David nel suo libro. A queste dovrebbe riferirsi la Beaton, quando parla di Dutch Sauce for Benedict e ancor più la ricetta di Ranhofer, delle Eggs à la Benedick . L’indizio più probante é il nome del piatto, in cui il Benedict’s non precede ma segue il sostantivo a cui si riferisce. Si tratta di una eccezione alla regola (tutti i piatti eponimi, in inglese, hanno il genitivo sassone prima del nome generico), che troverebbe una sua spiegazione nelle origini francesi.
Ammessa e non concessa l’identità degli avi, sui padri non esistono prove del DNA che tengano. Chi sia stato non si sa, insomma, mentre é probabile che tutti abbiano dato un loro contributo alla creazione di questo piatto, anche quelli che non hanno lasciato traccia. D’altronde, il cuore della storia della cucina e’ questo- una fucina sempre in movimento, alimentata dalla creatività e dalla fantasia.
Almeno fino a quando non si presenta il prossimo “inventore”.
Fonti
The History of Eggs Benedict
Beeton, I., Mrs Beeton Book of Household Management (1861)
Rahnofer, C., The Epicurean (1894)
Talk of the Town, The New Yorker (dec. 19, 1942)
David, E. French Provencal Cooking
Claibourne Craig, American Classic: Eggs Benedict , Tne New York Times (sept. 9, 1967)
Testi e fotografie della versione di Lemule Benedict delle Uova a cura di Alessandra Gennaro
Caricatura di Lemule Benedict presa qui.
Immagini d’epoca prese qui.
Immagine di Copertina presa qui.
1 Comments
Katia Zanghì
10 Maggio 2017 at 0:01
Dinanzi alla tua voglia di sapere e far sapere, io resto sempre senza parole.
Comments are closed.