Si iniziava con lo jentaculum, lo spuntino della mattina dove il consumo del vino accompagnava quello di olive, uova e formaggio, spesso avanzi della sera precedente; il prandium consisteva in uno spuntino portato da casa o acquistato per strada dai venditori ambulanti o nei locali pubblici. Erano sempre pasti frugali consumati in piedi sine mensa. Il pasto principale era la cena la cui durata era estremamente variabile, legata alle preferenze individuali dell’anfitrione, alle sue disponibilità economiche ed alla conseguente ricchezza di portate ed intrattenimenti che allietavano il banchetto.
La cucina si basava su ingredienti semplici come cereali e legumi, quali il farro e, successivamente, il frumento tenero e ceci, lenticchie, piselli, fave, “fagioli dall’occhio” e cicerchie, che venivano ridotte in farina o consumate cotte in zuppa.
Come verdure si usavano i cavoli, le lattughe, la rucola, la cicoria, i cardi, il crescione, il coriandolo, il cerfoglio, l’aneto, le carote, il sedano, l’aglio, le cipolle, il papavero, l’agretto, la ruta, la bietola, il porro, le rape, i navoni, l’origano, la santoreggia, l’indivia, il basilico, gli asparagi, la menta, la zucca, i cocomeri, i cetrioli, il rafano e la malva e molte altre piante che noi oggi classifichiamo solo come erbacce.
Per quanto riguarda la frutta, veniva privilegiata la produzione di noci, nocciole, mandorle e pinoli perché protetti dal guscio; nonché mele, pere, cotogne, sorbe e soprattutto fichi, perché potevano essere essiccati e conservati più a lungo senza guastarsi.
Si faceva uso di carni ovine e suine, si allevavano ghiri e lumache e si mangiava anche la selvaggina. Apicio, famoso per aver redatto il De re coquinaria, passò alla storia per le sue stravaganze culinarie e ci racconta di intingoli di creste tagliate a volatili vivi, triglie fatte morire nel garum della migliore qualità, oche ingrassate a fichi secchi e ingozzate con il mulsum, il vino mielato, lingue di usignoli, di pavoni e di fenicotteri.
Si mangiavano uova che venivano conservate nell’argilla e si beveva il latte.
Il mare era molto pescoso e i pesci non mancavano sulle tavole romane tanto che le specie più pregiate venivano addirittura allevate.
Tra i condimenti onnipresenti c’è il garum, ottenuto mettendo a fermentare in sale lo scarto dei pesci e il miele, il cui uso era pressoché costante in gran parte delle ricette.
Con i fichi, facendoli bollire a lungo, si otteneva il cosiddetto “miele di fichi”, che poteva essere conservato a lungo.
Si faceva grande uso di spezie; tra le più utilizzate vi erano l’aneto, il cumino, la maggiorana, il coriandolo e i semi di lentisco. Dall’Oriente venivano importati lo zenzero, la cannella, i chiodi di garofano e, soprattutto, il pepe in diverse qualità; il più pregiato era considerato il “pepe lungo”, che aiutava a conservare meglio le carni.
Sempre presenti l’olio e il vino.
Libum hoc modo facito – Catone
Casei p.II bene disterat in mortario; ubi bene distriverit, farinae siligineae libram aut, si voles tenerius esse, selibram similaginis solum eodem indito; permiscetoque cum caseo bene; ovum unum addito et una permisceto bene. Inde panem facito; folia subdito; in foco caldo sub testu coquito leniter. De Agri cultura, c 75
Trita in un mortaio 1 kg di formaggio di pecora; dopo averlo ben tritato, aggiungerai mescolando 500 g di farina o, se vuoi sia più soffice, soltanto 250 g di farina; aggiungerai un uovo e mescolerai bene. Poi formerai il pane; metterai sotto il pane alcune foglie di alloro; lo cucinerai lentamente su fuoco caldo coprendolo con un coperchio.
1 kg di ricotta di pecora
250 g di farina macinata a pietra
1 Uovo
Sale
Foglie di alloro
Lasciare scolare la ricotta per farle perdere il siero. Mescolare ricotta, farina e uovo e salare. Stendere il composto aiutandosi con un matterello e con un coppapasta ricavare delle focaccine. Lavare e asciugare le foglie di alloro e stenderle in una teglia e adagiarvi le focaccine. Cuocere a 200°C per 20 minuti. Il profumo di alloro riempirà tutta casa.
Testi e fotografie a cura di Annarita Rossi – Il Bosco di Alici
Fotografia di apertura a cura di Mai Esteve
2 Comments
Sonia
21 Aprile 2017 at 12:20
Molto interessante questo post!! Bella la ricetta di Catone, tradotta e realizzata egregiamente. Una bella sensazione poter quasi “toccare” con mano e vedere le abitudini alimentari degli antichi Romani. È un bel contributo culturale. Grazie.
sabrina
23 Aprile 2017 at 8:40
Queste focaccine sono proprio da provare!
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